giovedì 22 marzo 2012

DARIO BANFI (ACTA): "UNA VERA RIFORMA DEL LAVORO DEVE SGANCIARE I DIRITTI DALLA SUBORDINAZIONE"


“Quando si parla di professioni ordinistiche e non ordinistiche, di partite Iva o lavoro autonomo – afferma Dario Banfi, membro dell’Associazione dei consulenti del terziario Avanzato (Acta), e autore con Sergio Bologna di Vita da freelance – si pensa solo a persone che pagano le tasse. Quando invece si parla del loro lavoro, allora vengono fatte sparire dal tavolo».


Cosa effettivamente accaduta al tavolo della «verbalizzazione» tra Governo-Confindustria-Sindacati dove mancava all’appello un terzo della forza-lavoro attiva in Italia. Al suo posto c’era il suo fantasma, quello delle «finte partite Iva». «Nessuno nega l’esistenza di questi abusi – continua Banfi – ma così si rischia di non distinguere il lavoro autonomo reale da quello subordinato. I veri consulenti rischiano di perdere il posto dopo sei mesi».
Basterà l’intervento dell’ispettorato del lavoro per risolvere la piaga delle “false partite Iva”?
Non credo. È uno spauracchio che non basterà a far desistere dalle assunzioni irregolari. Il percorso è molto più complesso di una semplice data sul calendario. Intanto mettano più soldi sulle ispezioni. E poi permettano un patrocinio gratuito nei contenziosi, non importa se lo fa un sindacato o un’associazione. La verità è che nessuno ha una risposta, perché il problema non se lo sono nemmeno posti.
Per quale ragione?
L’unico interesse è rimarcare l’esistenza di un’irregolarità, non di sostenere il lavoro indipendente. È un’impostazione molto tradizionale che non intacca la struttura del mercato del lavoro che, a parte la modifica dell’articolo 18, resterà simile a quella attuale.
Qual è l’idea ispiratrice di questa politica?
L’ideal tipo del lavoratore che fa capo al dipendente a tempo indeterminato. Tutto quanto ruota intorno a questa impostazione, anche quando gli si vuole togliere qualcosa. Si modificano gli istituti contrattuali e le forme di protezione del lavoro sempre basandosi sulla tradizione di riforma di questi istituti. Un riformismo reale dovrebbe invece sganciare i diritti dai vincoli della subordinazione. Un lavoratore, in quanto cittadino, dovrebbe avere gli stessi diritti quando esercita una professione, lavora come dipendente o fa l’artigiano. Invece questa riforma millanta un’estensione universale dei diritti.
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Intervista di Roberto Ciccarelli

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