venerdì 22 giugno 2012

LAVORARE INSIEME. STORIE DI COWORKING A PALERMO





Roberto Ciccarelli

Il passato si tocca in via Re Federico 23, nel popolare quartiere della Zisa a Palermo, dove la pratica del lavorare insieme in spazi condivisi, il co-working, è diventato un modo per costruire nuove comunità. Negli anni Settanta, racconta Cristina Alga dell'associazione Clac che ha dato vita all'omonimo co-working Re Federico, al terzo piano di questo palazzo liberty, viveva una comune di musicisti. 

Il romanzo
A quel tempo c'era l'abitudine di riunirsi in uno dei saloni dell'appartamento nobiliare per dare concerti. Oggi una comunità di freelance ha avviato un esperimento di un nuovo modello di co-work. 

«Ci sono luoghi che mantengono la memoria di chi lo ha vissuto – afferma Cristina – Qui nel co-work Re Federico il destino resta improntato alla condivisione: ieri c'era la musica, oggi il lavoro in comune. Man mano che le persone arrivano, la sensazione è rassicurante: dagli elementi più superficiali a quelli più essenziali, questo spazio mantiene un'aria di famiglia, di comunità». 

Dal prossimo settembre, Re Federico ospiterà 15 postazioni di lavoro per freelance, autonomi e indipendenti che condivideranno servizi wifi, plotter, cucina, punti relax, per favorire momenti di scambio e di progettazione. Nel 2013 si prevede l'allargamento dell'attività nell'appartamento vicino, sempre al terzo piano. I ragazzi di Clac pensano di ristrutturarlo e sarà destinato per metà alla co-abitazione. Nel progetto definitivo l'area a disposizione per questa nuova attività di condivisione sarà superiore a 500 metri quadri.


"il co-housing - aggiunge Cristina - è condividere la cosa più intima di una persona, l'abitazione. è coraggioso, e tutto da sperimentare, è un modello di aggregazione per chi fa un lavoro come il nostro che porta ad essere isolati".

L'atelier
Quattro anni fa Re Federico era un palazzo estinto. Filippo Pistoia cercava una casa e si è insediato nell'appartamento  al terzo piano. Da allora, come un magnete, il palazzo ha ricominciato ad attrarre quelle forme di vita che aveva conosciuto in passato. E ha iniziato a ripopolarsi. Nelle sue stanze sono arrivati i turisti, poi artisti e freelance da tutta Europa, incuriositi dalla possibilità di lavorare in Sicilia tra queste mura fresche. E' nata così l'idea di coabitare e, insieme, lavorare. Poi è arrivata una coppia di artisti, Simona e Simone Mannino, che ha dato vita alla comunità «Atelier Nostra signora» (omaggio a Carmelo Bene fatto da artisti che provengono dal teatro). Oggi vivono insieme a due figlie, hanno riadattato l'appartamento al secondo piano trasformandolo in uno spazio espositivo dove le comunità di artisti palermitani elaborano e espongono le proprie opere. Ogni angolo di questo appartamento espone un'opera, viene illuminato secondo prospettive inedite. 


«Il sistema dell'arte - afferma Simone Mannino, seduto in un divano al centro della terrazza drappeggiata con tende verdi - organizzato sulla galleria-museo-curatore è destinato a scomparire. Prima la galleria e il curatore avevano un ruolo di intermediari sul mercato dell'arte. Oggi è diverso. Il nostro atelier nasce dall'esigenza di rispondere al desiderio di autonomia che gli artisti cercano  al di là degli intermediari. Una tendenza diffusa nel mondo dell'arte in molte città italiane, a partire da Milano. Qui da noi ci sono scultori e performer come il francese Philippe Berson, americani, poi fotografi, un gruppo eterogeneo che si è ritrovato qui da tutto il mondo, in maniera spontanea . Siamo diventati aggregatori di altre esperienze ".
L'atelier Nostra Signora è il cuore pulsante di un altro progetto di co-work in una ex fabbrica di materassi, lo studio 427, vicino al porto di Palermo. E' un atelier creativo nel quale si producono oggetti di design, e artigianato riciclando il più possibile materiali che hanno già avuto un percorso o restaurando ciò che già si possiede. Per un giorno a settimana, studio 427 si trasforma in uno spazio dove persone delle professioni più diverse possono cimentarsi in altre attività e frequentare conferenze,  seminari, laboratori, corsi, percorsi formativi, workshop, casting, vernissage ed eventi artistici e creativi. 

La comunità
Tornando al palazzo in via Re Federico, il piano terra viene condiviso dalla sede dell'associazione Clac, l'abitazione di Filippo e dall'appartamento di Francesco De Marco, fonico-montatore-sceneggiatore, che per molto tempo ha gestito qui uno studio di postproduzione audio. Il grande atrio dove si affacciano le porte di questo appartamento si affaccia sul cortile dove la comunità ha l'abitudine di organizzare pranzi collettivi frequentati anche da un centinaio di persone, sotto la grande magnolia che in questo inizio torrido d'estate è esplosa con i suoi colori fucsia.

"il co-working - riprende il suo racconto Cristina - significa strutturare un valore. Al centro c'è l'idea di creare una comunità e tessere relazioni, e mi piacerebbe che diventasse un nuovo modello di società possibile. Questo aspetto ci appartiene da sempre e si è evoluto nel tempo, pratiche come questa ci permette di condividere esperienze e principi anche al di là delle comunità di appartenenza. A Re federico, come coworkers, ci sentiamo i promotori dell'iniziativa, ma siamo parte come altri della comunità che stiamo creando".



CoWo Comunità vs CoWo in franchising
Il co-work, normalmente, viene organizzato da un gruppo che prepara un set di regole, definisce un ambiente e organizza le attività indipendentemente dai co-workers che sceglieranno di lavorare. Si preferisce creare prima lo spazio e poi la comunità che dovrebbe popolarlo, attraendo le competenze o le filiere esistenti in un luogo neutrale dove creare la comunità dello scambio. 

Re Federico, invece, ha scelto la strada opposta: la progettazione degli ambienti e delle attività viene realizzata contestualmente alla creazione della comunità che ci lavorerà. Mesi prima dell'avvio ufficiale delle attività, si continuano a organizzare incontri di "co-creazione", utili a far conoscere i futuri coworkers, e a definire insieme i servizi che la comunità ritiene essenziali per condividere uno o più progetti. Su queste basi, la comunità resta aperta a nuovi arrivi nell'ottica della co-gestione. 
"Ci sono due modelli - sostiene Cristina - il primo è il coworking in franchising che mira soprattutto a creare una rete internazionale con altri spazi della stessa tipologia. E' un'idea imprenditoriale. Noi, invece, siamo interessati a creare una comunità, non abbiamo come scopo il profitto. Mettere insieme scrivanie in uno spazio, non significa fare co-working. Il nostro scopo è di creare comunità che cooperano e creano un'attività in comune, non fondata necessariamente sul profitto, ma sull'esigenza di realizzare un'idea di buona vita.".
Il termine "coworking" è stato coniato da un programmista informatico, Bernie DeKoven nel 1999 a San Francisco. Anche per lui l'esigenza era quella di creare una comunità con persone di diverse professioni che vogliono crearsi il proprio ufficio, affittare una scrivania, condividere idee e progetti. Sul bisogno di superare l'individualismo del lavoratore della conoscenza, oltre che l'isolamento sociale di attività che non hanno alcuna tutela nè riconoscimento si è nel frattempo consolidato un impero. A Palermo abbiamo invece scoperto che la socialità intesa come condivisione di esperienze e di desideri, di domande e di risposte non è destinata ad abitare loculi in affitto ai margini della città, ma comincia finalmente a capire che vivere è meglio di produrre.

"io voglio vivere e lavorare meglio e condividere le spese con altre persone. il coworking non è una attività lavorativa in sè, ma permette di lavorare meglio insieme [...] Prima che si iniziasse a parlare di nuovo mutualismo, - aggiunge Cristina - con Filippo abbiamo iniziato a pensare ad una "comune dei vecchi". Il nostro progetto di co-working e co-housing risponde all'esigenza di creare un'associazione tra persone per riuscire a sopravvivere, anche senza lavorare, in età avanzata, mettendo in comune le risorse: un appartamento, un figlio medico, una piccola pensione da condividere. a testimonianza come alcuni temi che oggi sono importanti a livello nazionale, sono stati affrontati da molti di noi nella pratica già anni fa".
Nuovo mutualismo
Nella desolazione della crisi, che ha distrutto il modello del lavoro salariato, così come nell'esaurimento delle finzioni del post-fordismo che ha illuso milioni di freelance incrementando il loro individualismo e la competizione, emerge una dimensione di auto-organizzazione e di mutuo-aiuto che supera l'idea del "fare rete" solo in modo remoto e virtuale, collegandosi via chat su Internet. Il lavoro indipendente inizia finalmente a imparare che la propria attività può dare vita alla costruzione di nuove comunità, al di là dei limiti imposti dalla sua strutturale intermittenza.

"Le idee insieme alla comunità che si sta creando sono legate a pratiche di economia partecipativa, progetti di scambio, condivisione di risorse, gruppi di acquisto di prodotti biologici utili anche a sfamare i coworkers, il bike sharing - continua Cristina - Chi fa parte della comunità usufruirà quotidianamente di queste attività e provvederà a produrle".

Esodo Milano-Palermo
Per Michelangelo Pavia, architetto milanese, aprire con Giuseppe Castellucci un co-work a Palermo è stata una scelta di vita. La sua idea originaria era quella di aprire uno studio di architettura nel capoluogo siciliano, e di sottrarsi alla vita dell'architetto negli studi milanesi. "A Milano ero diventato insofferente allo stile di vita. Alla fine di dieci anni di lavoro non avevo un euro in tasca. Rispetto ai miei genitori che hanno lavorato una vita, mettendo da parte i risparmi, io non avevo niente da investire per aprire una mia attività". 




Quando ricorda Milano, Michelangelo parla di "sofferenza contrattuale". 

"Ho lavorato su progetti importanti, pagato sempre molto poco. Io sono sempre stato tranquillo nel fare il libero professionista, ma a Milano la libera professione è un travestimento dell'essere dipendente".
 La fuga da Nord a Sud, così la definisce, è dovuta al fatto che Milano è una città carissima. Un bilocale di 50 metri quadri costa 250 mila euro. "A palermo, vivo in un appartamento al quarto piano, senza ascensore, in un quartiere iper-popolare ho comprato un appartamento a 36 mila euro, senza fare mutui nè chiedere aiuto ai miei genitori. La scelta di venire a sud è dettata dalla mia condizione lavorativa a Milano. Per comprare la casa, per quanto il costo sia ridotto, i miei genitori mi hanno aiutato e continuano ad aiutarmi per mille altre cose".

Il risparmio è una scelta legata anche alla condivisione dello spazio. Mangiare insieme nella cucina del Neu [noi] "significa risparmiare 150 euro di spesa al mese" calcola Michelangelo. "Sarebbe interessante se qui venisse una persona che vuole costruire un progetto sulla cucina e offrisse questo servizio per le persone che lavorano negli studi qui intorno. Stiamo valutando anche il progetto di una dietista che ci dia consigli sull'alimentazione, acquistare prodotti più sani".

L'associazione
Nel gennaio 2012 è stato inaugurato il cowork "Neu-noi" a palazzo Castrofilippo, in via Alloro. Ci sono architetti, programmatori web, ingegneri informatici, giornalisti che si occupano di sport e di sicurezza stradale. L'obiettivo è di unire tutti i contatti, per "presentarsi davanti ad un cliente con un team di professionisti garantisce la qualità del servizio. Il nostro obiettivo è di costruire il team migliore per ogni cliente".

"Il coworking non deve limitarsi allo spazio fisico, chi prende una postazione da noi fa parte dell'associazione. Ampliare il più possibile l'attività di collaborazione. non serve essere seduti fianco a fianco, serve invece incontrarsi e lavorare insieme su progetti. Questa mi sembra sia la differenza con il franchising che ti fa pagare un servizio, il modello di contratto di comodato d'uso che potrebbe essere facilmente condiviso in rete dai coworkers, hai accesso ai servizi se entri in una loro sede. lo trovo un controsenso".
Altra caratteristica dei coworking palermitani che abbiamo visitato è che questi spazi non devono dare profitti:

"Perché il co-working è un modo per condividere le spese. abbiamo istituito un'associazione no profit, condividiamo tutte le spese vive, e nel caso di entrate in più le usiamo per attività di sviluppo d'impresa o attività culturali. Questa attività di promozione dello spazio, dell'arte e della cultura diventa una pubblicità, marketing etico, che permette un ritorno diretto per l'attività dei singoli. Chi viene a vedere una mostra può darmi un incarico e ciascuno di noi, dall'ingegnere al giornalista, può fatturare a suo nome.
Il coworking, dunque, "non ha bisogno di un vero luogo, ma c'è bisogno di un adattamento alla città dove si vive, perchè ogni cultura ha la sua vocazione. Alla base c'è l'idea di lavorare insieme e questo vale in tutti i contesti". 

Baratto evoluto
Neu [nòi] sta sperimentando anche un nuovo modello di credito. Si chiama Sicanex ed è una pratica di "baratto evoluto" molto diffuso in Sardegna. Ispirata al Sardex, che a due anni dal lancio conta 420 aziende associate che, nel 2011, hanno generato oltre un milione di transazioni nell’isola, il Sicanex è un sistema che permette alle aziende di fare acquisti senza l’utilizzo di denaro. Allargando il numero dei soggetti convenzionati, il sistema si autoalimenta e le aziende possono fare acquisti in Sicanex senza usare euro con cui, per esempio, si potrà pagare l’iva allo Stato.
"Sicanex - spiega Michelangelo - è un circuito di scambio, pratica una forma di baratto evoluto dove i professionisti che usano la partita iva accedono e barattano beni e servizi in una forma evoluta grazie al web. Un sicanex equivale a un euro. Io posso erogare un servizio ed essere pagato in sicanex. Ad esempio, un rivenditore di sedie che ha aderito a sicanex mi permette di comprare i suoi prodotti. Ciò permette di fare investimenti senza andare in banca a chiedere un prestito. Viceversa, è possibile diventare debitori di sicanex supplendo a questo debito con i propri servizi".

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