lunedì 21 gennaio 2013

UN "POSTO AL SOLE" , LA SOCIAL SOAP DELLA FLESSIBILITA'

Adriana Pollice

Grazie e addio. Poco prima di Natale la produzione di Un posto al sole, la social-soap realizzata nella struttura Rai di Napoli, ha comunicato al suo regista «storico», Rossano Mancin, che non fa più parte della squadra. Si tratta dell'unico presente fin dalla prima stagione, nel lontanissimo 1996, nonché recordman di ascolti. «All'inizio andava male, lo share era sotto il 10% fissato come soglia per rimanere in palinsesto. Poi arrivò la settimana con le puntate girate da me e facemmo il boom con il 15,7. Ci sono le foto con me dietro la torta. Alla Rai di Napoli tirarono un sospiro di sollievo, la soap negli anni ha scongiurato l'eterna minaccia di chiudere gli studi di via Marconi».



Con Mancin finiscono fuori libro paga anche altri registi, eppure Un posto al sole ha davanti a sé ancora due anni e 500 puntate da trasmettere, in base al nuovo contratto appena siglato. Liberarsi dei registi non è un problema, lavorano a partita iva con contratti di un mese. Come funziona lo racconta Mancin: «Si tratta di una coproduzione: la Rai mette a disposizione studi, attrezzature e tecnici e un partner privato provvede a registi, attori e tutta la parte produttiva. All'inizio era l'australiana Grundy, che per le soap a basso costo utilizza quattro registi. Poi è subentrata la Fremantlemedia, ma comunque chi decide è Rai Fiction a Roma». 

I quattro registi delle origini sono diventati una folla di centinaia di persone in continuo cambiamento, le registrazioni suddivise in blocchi, ogni blocco formato da 5 puntate: «Negli anni è diventata la nave scuola. Se avevano bisogno di far fare esperienza a qualcuno che poi dovevano piazzare da un'altra parte lo mandavano da noi. Te lo affiancavano per una settimana, poi gli commissionavano un paio di blocchi e, con il curriculum sistemato, lo mandavano dove dovevano. A questi poi si sono aggiunti quelli che lavoravano nelle produzioni soppresse, come La squadra o Agrodolce, 'così lavorate tutti' ci dicevano e a me stava bene. Poi sono arrivati ancora altri, piovuti dal cielo, e siamo diventati un esercito. Alla fine gli 'storici' riuscivano a lavorare tre mesi all'anno al massimo».







L'audience di Un posto al sole è rimasta intorno al 10,5% a lungo, con l'avvento del digitale terrestre un po' di pubblico è migrato verso i nuovi canali e si è scesi sotto il 9 ma, tutto sommato, il prodotto ha retto grazie al mix di commedia, avventure rosa e temi sociali come i dico, la camorra, il racket, la violenza sulle donne. Un meccanismo talmente rodato da assorbire persino il frenetico avvicendarsi di registi. «All'inizio ognuno girava il proprio blocco, negli ultimi anni i piani di lavoro si sovrapponevano e magari nella tua settimana ti trovavi a finire le puntate dei colleghi e ai colleghi toccava finire le tue nella loro settimana di lavoro. Resta comunque il fatto che il gruppo nel complesso funziona». 


E allora se il paradiso della flessibilità in entrata e in uscita alla Rai di Napoli, nella social soap, si è già realizzato, come sognano politici e tecnici di destra e centrosinistra, come invocano gli industriali, perché mettere alla porta il gruppo di registi che meglio conosce la macchina e assicura così la continuità del prodotto che, tutto sommato, regge nel palinsesto? Probabilmente ci sono molti motivi però Mancin non riesce ad appurarli perché chi deve dare le risposte non si fa trovare. Certo, il sospetto che la ristrutturazione abbia qualcosa a che fare con la campagna elettorale e magari con qualche casella da liberare, per fare posto al nuovo che arriverà da fine febbraio, pure viene.


(Il manifesto 18 gennaio 2013)

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