Il Decreto Sviluppo ha aggiornato la legge istitutiva delle Società di Mutuo Soccorso (Sms). Non accadeva dal 1886 e il nuovo provvedimento ha concentrato le loro attività al settore assistenziale e sanitario. Le Sms sono almeno 1.500 e dalla riforma sanitaria del 1999 conoscono una rinascita. È il caso di «Insieme Salute» che nel 2012 ha aumentato gli associati del 12%, passando da 10.500 a 12 mila soci in un anno. «E questo nonostante il gran numero di disdette delle convenzioni a causa della crisi – afferma Valerio Ceffa, direttore di Insieme Salute – Per noi è stata una sorpresa perché il Cda della mutua aveva deciso di congelare le tariffe per rispondere alle difficoltà economiche degli associati».
I contributi versati dagli associati di Insieme Salute sono all’incirca 2 milioni di euro, mentre gli avanzi di gestione che vengono reinvestiti integralmente nelle attività mutualistiche sono di 1,5 milioni di euro. Per le tariffe si va dai 120 euro all’anno per le prestazioni base (come il ticket) a prestazioni da 1500 euro che contemplano esami di alta diagnostica (Tac o risonanza). «Cerchiamo di inserirci negli ambiti dove la risposta del pubblico è carente e le assicurazioni private non sono interessate a muoversi – puntualizza Ceffa – nei casi di malattia o infortuni dei lavoratori «atipici» o autonomi. Insieme Salute ha siglato la convenzione sanitaria «Elisabetta Sandri» con il sindacato traduttori «Strade», il sindacato nazionale scrittori (Sns), l’associazione dei consulenti del terziario avanzato Acta e i traduttori di Aiti. L’obiettivo è creare un fondo di 3 mila soci per garantire ai lavoratori indipendenti una copertura sanitaria o un assegno per la gravidanza che oggi non vengono riconosciuti dal Welfare statale. Il versamento di una quota annuale di 246 euro permette il rimborso dell’80% dei ticket e un sussidio per l’invalidità.
Insieme Salute non ha un capitale sociale da distribuire sul modello delle aziende, bensì delle «riserve» che costituiscono una garanzia in caso di degenze lunghe degli associati e assicurano la continuità delle sue attività. «Il mutualismo interessa un corpo sociale che non è fatto da ricconi – continua Ceffa – ma teme di perdere l’assistenza da parte della sanità pubblica». Dall’estate del 2011 c’è stato un aumento del 37% dei ticket, con una spesa di 2 mila miliardi in più, mentre proseguono i tagli hanno imposto a 9 Asl su 10 di ridurre l’offerta dei servizi. «La mutualità svolge un ruolo integrativo, ma non sostitutivo della Sanità pubblica che resta imprescindibile per dare una risposta universalistica. Lo Stato non può abdicare al ruolo di tutela dei diritti delle persone. Il mutualismo permette una gestione sociale dei rischi per la salute che il welfare assistenzialistico non assicura più».
L'opzione del mutualismo è strategica da quando si è diffusa la consapevolezza che il welfare pubblico statale difficilmente riuscirà a essere stabile. E non assomiglia, almeno nella versione offerta dal mutualismo socio-sanitario, al self help diffuso nella sussidiarietà cattolica oppure in quello assicurativo tipico del mercato finanziario. Di certo non può che inserirsi nel cosiddetto "secondo Welfare" dove - ad esempio - Lega Coop Emilia Romagna ha lanciato il progetto della "mutua dei cittadini". Nei prossimi quattro anni il gigante della cooperazione intende creare una mutua, rivolta anche ai "precari", con 4 milioni di soci. Ma ciò, almeno per il momento, non deve scoraggiare dal prendere l'iniziativa perché dal mutualismo dal basso, autogestito attraverso le società di mutuo soccorso, passa anche la tutela per un altro diritto misconosciuto: quello della maternità universale sostenuto da Acta, e non solo.
Il mutualismo può garantire la possibilità di destinare parte del contributo (opting out parziale) attualmente versato alla Gestione Separata a società di mutuo soccorso. Questo significa tutelare una maternità universale e permettere ai singoli e ai gruppi organizzati di intervenire nelle situazioni in cui manca o è insufficiente la copertura lavorativa e il diritto a una reale copertura della malattia che il welfare statale non prevede per almeno un terzo della forza-lavoro attiva, quella non soggetta a un contratto di lavoro dipendente.
La risposta dei sindacati e, in genere, della sinistra a questi tentativi - diffusi anche nel lavoro dipendente e salariato, soprattutto nelle fabbriche del Nord - è che sarebbe un altro tentativo di "privatizzare" il welfare e di negare allo Stato la funzione bismarckiana di tutela centrale e universalistica di un diritto di cittadinanza. Così non è, come ribadiscono quelli di Insieme Salute, ma resta sempre il problema se per garantire un diritto universale bisogna rivolgersi al secondo welfare rappresentato dalla cooperazione che in Italia, e non solo in Italia, rappresenta una realtà industriale, finanziaria, distributiva di primo piano nell'economia nazionale. Questo problema dovrebbe essere affrontato innanzitutto dai sindacati che, al momento, non se ne sono accorti. La rappresentanza del lavoro e il mondo della cooperazione sono, da tempo, realtà distantissime, nonostante siano nate dallo stesso ceppo e, da lontano, hanno condiviso la stessa cultura politica. Chissà se oggi è ancora così.
E' assai probabile che non riusciremo facilmente ad affrontare questi problemi, chiarendo come l'auto-organizzazione sociale e professionale dei lavoratori possa mantenersi autonoma dal mercato del "Secondo Welfare". Ma in attesa di un chiarimento, e della nascita di potenzialità sociali e politiche che sappiano almeno istruire il problema, ciò non toglie che bisogna agire in fretta considerato lo scenario di generale abbandono del welfare per i non garantiti.
Non bisogna però trascurare un dato: che la revisione della legge sulle società di mutuo soccorso ha limitato il loro campo di azione all'assistenza socio-sanitaria. Il nuovo mutualismo è sicuramente più ampio di questo settore, e mirerebbe alla tutela e allo sviluppo dell'attività produttiva, delle forme di vita e di scambio, oltre che dell'associazione e della mobilitazione delle persone. Non saranno campi redditizi come quello socio-sanitario, ma si tratta senz'altro di un'idea di società politica che mette al centro dei suoi interessi la produzione e la riproduzione della vita, non dei profitti.
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Roberto Ciccarelli
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