La Commissione Rodotà, istituita nel 2007 per proporre una riforma del Codice Civile, riprenderà i lavori dal teatro Valle occupato tra un mese. Le sue attività non saranno confinate alle aule parlamentari ma itineranti. Come le antiche corti dei giuristi che raccoglievano le istanze dei territori per riportarle a Londra, anche la nuova Commissione Rodotà si auto-convocherà nei teatri, cinema, atelier occupati e nei luoghi dov'è più forte l'associazionismo a tutela dell'ambiente. Ad esempio in Toscana dove si è consolidata la rete per la difesa del territorio rappresentata da Alberto Asor Rosa.
L'idea di rilanciare le attività di una commissione che ha imposto un'innovazione irreversibile nella riflessione sulla proprietà pubblica e sui beni comuni, senza purtroppo produrre un'iniziativa parlamentare, è stata incubata per alcuni mesi dagli attivisti del teatro Valle in un fitto scambio con Stefano Rodotà. Insieme hanno lanciato ieri un progetto «di respiro costituente di produzione normativa dal basso» elaborato con una nutrita schiera di giuristi e studiosi come Ugo Mattei, Alberto Lucarelli, Maria Rosaria Marella, il giudice emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena, Salvatore Settis e Luca Nivarra, oltre agli esponenti del migliore associazionismo culturale e politico il Basic Income Network-Italia.
Le proposte sulle quali questa inedita carovana di movimenti e giuristi chiamerà a discutere la «cittadinanza attiva» riguardano i temi del testamento biologico, l'accesso a Internet, il reddito minimo, la tutela dell'ambiente e del territorio, la cultura, la salute e l'alimentazione. Ciascuno di questi temi verrà dipanato da una pluralità di commissioni legislative autoconvocate che elaboreranno proposte di leggi di iniziativa popolare, proprio com'è accaduto per quella del reddito minimo che ha superato le 50 mila firme necessarie per essere discussa dalle commissioni parlamentari nella prossima legislatura. Una parte determinante di questo «processo costituente» riguarda la riforma delle proposte di legge di iniziativa popolare. La commissione Rodotà intende rendere obbligatorio il loro esame da parte delle Camere, e permettere che il loro iter possa essere seguito dai promotori.
Ancora più ambizioso è il progetto di una «riforma della proprietà pubblica che riconosca la dignità giuridica della categoria dei beni comuni», oggi richiamata da tutti i movimenti dell'ultima generazione, dall'acqua ai teatri, senza dimenticare le nuove occupazioni come quella dell'ex Colorificio di Pisa per il quale i promotori della Commissione Rodotà hanno lanciato un appello «di diffida» alle autorità della città toscana contro lo sgombero. Domani è prevista una manifestazione nazionale.
L'obiettivo della commissione non è quello di stilare un'agenda programmatica per il futuro, sul modello di quelle diffuse dalle forze politiche in campagna elettorale, bensì di convogliare le forze sociali da Palermo alla Toscana, da Roma a Venezia per ristabilire «la connessione tra politica e cultura» al di là della «politica rappresentativa».
Questo movimento intreccia in maniera inedita le competenze degli intellettuali e dei giuristi «che sono usciti dalle biblioteche e sono alla ricerca di un diritto vivente a partire dalle persone» con le pratiche intelligenti di azione diretta e di auto-governo. E non si riconosce nella coalizione elettorale di centrosinistra che si è appropriata dell'esperienza dei beni comuni, senza tuttavia coglierne il senso né la ragione.
Al contrario, prende le distanze dall'attuale sfera della rappresentanza politica e polemizza aspramente contro la legge elettorale «che non porterà in parlamento degli eletti, ma solo dei nominati». Del resto, è stato questo uno dei nuclei fondanti della «rivoluzione dei beni comuni» come l'ha definita anche Rodotà nel suo recente volume Il diritto di avere diritti: contestare la differenza tra legalità e legittimità non per negarne l'esistenza, bensì per spostarla più avanti al punto da configurare la creazione di un nuovo diritto.
La scrittura dello statuto del teatro Valle, della società Abc per la gestione dell'acqua a Napoli, presieduta da Ugo Mattei, il referendum sull'acqua sono alcuni degli esempi di questa nuova tensione che porta il diritto a superare la dicotomia tra proprietà privata/proprietà pubblica e a estendere il campo dei beni comuni alla cultura, all'ambiente, alla conoscenza. Nella commissione Rodotà i movimenti oggi rivendicano la funzione «vivente» del diritto, ritrovandola nelle proprie pratiche.
«Noi utilizziamo il diritto laddove serve e lo infrangiamo quando limita la realizzazione di una vita comune più giusta. La ripresa dei lavori della Commissione è l'occasione per porre un orizzonte comune di azione per tutti i movimenti sui beni comuni: il diritto vivente».
Il "diritto vivente"
La categoria del diritto vivente conosce una nuova attualità nel dibattito giuridico e filosofico, e trova nella sperimentazione di una nuova Commissione Rodotà, e nel "movimento dei beni comuni" un'ulteriore applicazione. Innanzitutto perché individua come referente dell'attività normativa un soggetto non astratto, e lo fa nei movimenti. Lo fa per necessità perché la reinvenzione della "normatività" non può più passare attraverso il soggetto ridotto a uno scheletro che isola la cittadinanza da ogni contesto, astraendolo dalle condizioni materiali - e sociali - della vita. Il "diritto vivente", che in realtà possiede una lunga tradizione, si colloca nell'intersezione tra la vita delle persone e quella del mondo in cui esse vivono. Non è proprietà né dei soggetti che lo praticano, né del dispositivo giuridico che lo esprime.
Bisogna tuttavia esplicitare questa idea di "movimenti", precisandone le potenzialità ma anche i limiti. Perché "movimento", nel caso della rete dei teatri occupati, come in quelli delle associazioni che si auto-organizzano a difesa e tutela del territorio, o dei beni comuni, non dovrebbero essere intesi come entità sostanziali, già formate, bensì in via di formazione e quindi di trasformazione. La loro azione, compresa dal punto di vista dei diritti fondamentali che è poi quello dei giuristi come Rodotà o Ferrajoli, come anche dello stesso Mattei o Marella che continuano a scriverne, è ispirata all'uguaglianza.
Uguaglianza è un principio, ma anche un criterio di azione contro l'istituzionalizzazione delle discriminazioni tra le persone, come anche contro un'idea di proprietà che tende a concentrare la cittadinanza sul proprietario, affermando la priorità del censo - dello status - sulle relazioni. L'avere scelto come referente di tale principio i movimenti (la "cittadinanza attiva"), e non un soggetto pieno e concluso, o una rappresentanza politica definita, chiarisce un punto fondamentale di questa "rivoluzione" dei beni comuni.
Rispetto all'antropologia giuridica della modernità, ormai inglobata nella logica del mercato o della rappresentanza politica, c'è qui l'intuizione che esiste una costellazione di soggetti fuori dal diritto riconosciuto, come anche dalla possibilità di essere salvati dalle istituzioni esistenti. Bisogna crearne di altri, anche perché non è ormai possibile condurre una vita libera e dignitosa. Oggi si vive al grado zero dell'esistenza, della retribuzione come minimo vitale e niente più. Il referente del diritto non può più essere il lavoratore, maschio, dipendente, con la carriera che lo porta dritto alla pensione.
Ecco la carovana dei giuristi e dei movimenti che inizierà tra poco a muoversi in Italia deve misurarsi con l'idea che le persone, oggi, non hanno né collocazione lavorativa e sono sempre più alienate dal loro territorio. Il diritto vivente, in questo caso, non sta solo nel ripristinare le vecchie regole ormai inutilizzabili, ma nel creare nuove relazioni tra le persone, tra i territori, e con le istituzioni. La presenza del reddito (di base) tra le proposte della Commissione Rodotà si spiega anche con questa ricerca di un universalismo incarnato e singolare.
Roberto Ciccarelli
Nessun commento:
Posta un commento