martedì 13 agosto 2013

SCHIAVI A BUCKINGHAM PALACE: ZERO ORE, ZERO CONTRATTI, ZERO FUTURO


La principessa Diana ha conquistato l'amore universale finanziando l'assistenza a poveri, tossici e disoccupati. Oggi la sua fama è stata oscurata da un'inchiesta del Sunday PeopleTurning Point, una delle associazioni da lei prediletta che nel 1985 elesse i figlioli William e Harry a regali protettori, questa estate ha licenziato 2927 lavoratori per assumerne 351 con un "contratto a zero ore".

"Zero ore" significa che i lavoratori devono essere reperibili in ogni momento dall'azienda che deve soddisfare una commessa. Turning Point li usa per servire pranzo e cena alle mense dei poveri, per garantire l'assistenza ai tossicodipendenti o ai malati mentali e persuadere gli alcolisti a smetterla con la bottiglia. Chi accetta di lavorare a zero ore lo fa per poche settimana, seguite da pause lunghe, per poi tornare a lavorare. Senza riconoscimento della malattia, delle ferie, di un'assicurazione contro gli infortuni, insomma dei diritti fondamentali garantiti ai lavoratori dipendenti, come anche quelli a "termine".


Il futuro a zero ore
Il lavoro a zero ore riguarda un milione di persone in Inghilterra nel settore privato e in quello pubblico. Lo sostiene una ricerca del Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd) che ha smentito l'ufficio nazionale di statistica secondo il quale gli iperprecari usa e getta inglesi sono "solo" 250 mila. Il governo Cameron non ne conosce la cifra esatta e si è impegnato ad accertarla.

I contratti a zero ore vengono utilizzati nella "nuova economia" da Amazon, nell'intrattenimento con la catena Cinemaworld (l'80% dei 4500 impiegati), nei pub JD Wetherspoon, oppure negli ipermercati del retail sportivo Sports Direct (20 mila precari a zero ore). Nello stesso modo si lavora alla Tate Gallery, soprattutto nel servizio catering. Mc Donald's, la più grande catena di fast food del Regno Unito, ha 83 mila contratti a zero ore.

Anche a Buckingham Palace si lavora con i contratti a zero ore. Nel palazzo della regina ci sono 350 part-time senza orario. Vengono assunti in estate, affiancano il personale assunto, guidano i turisti di mezzo mondo nella Disneyland reale. Lavorano nei negozietti dei gadget, fanno la guardia nelle stanze per evitare che un turista giapponese fotografi i bagni. Gli "zero ore" firmano un impegno a non lavorare per nessun altro durante la durata del contratto. La soddisfazione di lavorare per le altezze reali non ha prezzo.

Strategia del tasso (d’interesse)
Anche in Inghilterra la crisi si è fatta insostenibile. La Banca centrale inglese ha stabilito che non abbasserà i tassi d'interesse finché la disoccupazione non sarà scesa al di sotto del 7%. È una decisione importante, seguita dalla maggior parte delle banche centrali (Fed e Bce): gli interessi sui mutui, così come quelli dei prestiti ad un istituto di credito da parte della banca centrale, dipendono dal numero degli occupati. È l'ammissione che la capacità di consumo può rianimare il Prodotto Interno Lordo (Pil). Dunque, è bene conteggiare tra gli occupati anche il milione di "contratti zero": con qualche centinaio di euro in tasca anche gli inoccupati o i precari dovrebbero spendere qualcosa. 

Questo potrebbe corrispondere all'abbassamento dei tassi di interesse sui mutui. I precari allora investirebbero il loro gruzzoletto in una casa, ad esempio. Solo che i precari assunti per un pugno di settimane, o anche per qualche mese, non pagano i mutui e le banche non ci pensano nemmeno a concedergli un prestito.

È il meccanismo che ha portato all'esplosione della bolla dei mutui subprime negli Stati Uniti. Oggi si vuole che il tasso di disoccupazione si abbassi, ma si tengono bassi i salari. La precarietà della forza-lavoro, che è composta da consumatori che non possono acquistare e fare (nuovi) debiti, alimenta la recessione. Al centro di questa crisi c’è nuovo proletariato giovanile - una parte cospicua del quinto stato diffuso nell'industria dei servizi alla persona, del tempo libero, in quella finanziaria, nella logistica – che svolge un ruolo di protagonista involontario della crisi in Inghilterra, come in Italia.


Reddito per tutt*
Guy Standing, autore di "Precari: la nuova classe esplosiva" (Il Mulino), sostiene che i tassi ufficiali di disoccupazione non considerano il precariato: ci sono momenti in cui i lavoratori sono effettivamente disoccupati, ma ufficialmente impiegati in una zona grigia dove non si guadagna e non si ricevono tutele. "Tutto questo conviene al governo - ha scritto Standing - perché veicola il messaggio che i tassi di disoccupazione stanno scendendo". Standing invoca l'introduzione di un reddito di base per tutti. Ai contrattisti a zero ore dovrebbe essere versato un bonus più alto. E comunque il reddito potrebbe permettere a queste persone di non accettare questo tipo di contratti, respingendone il ricatto. "Dobbiamo riconcettualizzare ciò che intendiamo per "lavoro".

La soluzione italiana: lavoro gratis
Il contratto inglese a zero ore ha un analogo nella legge Biagi del 2003: il "lavoro a chiamata", figura tipica del diritto del lavoro anglosassone introdotta in Italia come esempio di "modernizzazione" del mercato del lavoro. Ma si tratta di una figura marginale sul mercato del lavoro. In Italia la parte del leone la fa il contratto a termine a breve o brevissimo termine (meno di un mese). Secondo l'Isfol, nel 2012 il 42,5% delle assunzioni dei giovani è avvenuta così.
 
Tecnicamente il "contratto a termine" non è il "contratto a zero ore" inglese, anche se svolge lo stesso ruolo: risparmio sul costo del lavoro, contenimento dei salari e delle tutele, alta intercambiabilità dei prestatori d’opera. Come in Inghilterra, anche da noi il consumo del lavoro giovanile è contingentato, breve e brutale. Invece di arrestare questa deriva - curiosamente ci aveva provato Elsa Fornero - lo si amplifica. Il governo Letta ha accorciato gli intervalli tra i rinnovi dei contratti a termine, soddisfando una richiesta ben precisa delle imprese. Invece di abolire i 46 contratti precari esistenti, se ne aggiunge un altro: l’“apprendistato”. 

Questo contratto di formazione, già non molto frequentato dalle imprese italiane, è stato snaturato dalla riforma Fornero perché riguarda i ragazzi fino ai 29 anni, molti dei quali hanno già fatto stage o tirocini. Praticamente si resta “in formazione” a vita, un altro modo per occultare il precariato di massa. Il recente accordo sul lavoro all’Expo ha aggiunto un particolare inquietante a questa strategia. Per i sei mesi della durata di questo "grande evento" verranno creati 640 apprendisti (regolati dal contratto nazionale dei servizi) e 195 stagisti. E si prevedono 18.500 “volontari”. 

Il lavoro gratuito è diffusissimo nel nostro paese, ma mai prima di oggi è stato "santificato” da imprese, sindacati e governo, Quirinale compreso. Una realtà inaccettabile persino in Inghilterra, dove almeno ci sono le “zero ore”. In Italia no, perché si pensa che il lavoro gratuito sia un’esperienza “formativa” per i giovani che possono fare un’esperienza. Come al servizio civile. Magari all’Expo prenderanno contatti per l’ennesimo stage o incontreranno il principe azzurro. Nessuno pensa che siano anche loro dei lavoratori. Questo accordo sprigiona un paternalismo raccapricciante a cui i giovani non potranno sottrarsi. Perché non hanno alternative. 

La rassegnazione dei sindacati ad accettare la precarietà (degli altri) come una realtà irreversibile, da regolamentare dov’è possibile con un contratto nazionale, è una tragedia. E lo è ancor più perché attesta una trasformazione impensabile fino a poco tempo fa: la precarietà riguarda un ristretto nucleo di apprendisti, mentre la stragrande maggioranza degli inoccupati lavorerà gratis o in nero. 

È improbabile che una popolazione di precari, divisa tra apprendisti e volontari, farà ripartire i consumi e tanto meno la crescita auspicata dal premier Letta. 


Roberto Ciccarelli


Nessun commento:

Posta un commento