mercoledì 8 gennaio 2014

Il JOB ACT CORRE SU UN BINARIO STRETTO

Roberto Ciccarelli

Il «Job Act» verrà presentato tra la fine della settimana e l’inizio della prossima dal segretario del Partito Democratico Matteo Renzi che ieri all’inaugurazione di «Pitti Uomo» a Firenze ha delimitato sei campi d’intervento. Considerata l’occasione, il primo è quasi obbligatorio: si tratta dell’immancabile rilancio del «made in Italy». Seguono quelli del settore manifatturiero, a cui tiene molto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, turismo, cultura, turismo e «innovazione».


Il provvedimento, dal titolo anglofono e con spunti che hanno riscosso l’interesse della Segretaria Cgil Susanna Camusso in un’intervista ieri su La Stampa si baserà su tre punti di riferimento: «Le regole d’insieme - ha detto Renzi - vale a dire il panorama sistemico che parte dalle condizioni di chi fa impresa e deve essere messo in condizione di poterla fare». Questo significa «contrastare il costo della burocrazia» e «puntare a creare posti di lavoro». La materia dei contratti di lavoro, e in particolare la proposta di «contratto unico a protezione crescente» secondo le differenti versioni fornite da una parte da Tito Boeri e Pietro Garibaldi e dall’altra da Pietro Ichino (Scelta Civica), rientra in un progetto più ampio che per il segretario Pd non dovrebbe «semplicemente ridurre la discussione politica a un problema di normativa contrattuale».

Tra le righe, questa sembra essere una risposta ai settori di sinistra del sindacato, ma non solo, che hanno denunciato l’intenzione di Renzi di favorire la «flessibilità in entrata e in uscita» da un rapporto di lavoro, allentando il già malmesso articolo 18 per i neo-assunti. Solo che questo articolo 18 non vale per i precari, come per i lavoratori autonomi. E Renzi ha dimostrato di essere al corrente di questo problema macroscopico che fino ad oggi nessuno, sindacati compresi, ha voluto vedere. In compenso questo dire e non dire allarma i sindacati, giustamente preoccupati per la svolta del diritto del lavoro in direzione di una spiccata mercificazione di tutte le attività operose.

Per il leader Pd è preferibile derubricare ogni tensione, che tuttavia non tarderà ad arrivare, alzando la mira: «La discussione sulle regole contrattuali non deve essere ideologica, ma dare garanzie a chi non ne ha». «Bisogna allargare il ragionamento - ha aggiunto - sull’articolo 18 ciascuno ha le proprie idee». Quanto alle polemiche, «sono la dimostrazione plastica di guardare il dito mentre il mondo ci chiede di guardare la luna».

Al di là delle metafore, o delle battute la cui arte viene coltivata dal segretario Pd, questa precisazione sembrerebbe confermare quanto già detto a «Che tempo che fa» di Fabio Fazio: alle imprese che assumono «giovani», o meno giovani, potrebbe essere concessa un’ulteriore deroga al diritto del lavoro. In cambio i lavoratori a cui scade un contratto (di tre anni?) riceverebbero un «sussidio di disoccupazione universale» per due anni insieme a un risarcimento. In fondo sono queste le proposte messe in campo da chi teorizza da tempo il «contratto unico». Per Renzi il «sussidio universale» è il modo per «dare garanzie a chi non le ha mai avute e negli ultimi 20 anni ha dovuto pagare il costo dei ritardi della politica».

La politica ha senz’altro molte responsabilità, a cominciare dal Pd (o meglio dall’allora Pds) che approvò il «pacchetto Treu» nel 1997, dando così il via libera alla precarizzazione selvaggia più feroce che si sia vista in Europa. I sindacati, e la Cgil in particolare, anche per una drammatica sottovalutazione culturale dell’impatto che ebbe quella decisione, sono rimasti a guardare, boccheggianti. Renzi sembra essersene accorto, sebbene non mostri ancora sufficiente consapevolezza delle responsabilità del suo partito. Entro una settimana si capirà se la sua risposta coinciderà con un’ulteriore precarizzazione oppure, come ha sostenuto ieri a sorpresa Susanna Camusso riconoscerà che «la radice del problema è dare diritti ai lavoratori qualunque sia il settore e la modalità con cui lavorano».

L’apertura ai massimi livelli della Cgil sul «Job Act» renziano riprende alcune proposte ormai ricorrenti: il finanziamento di un «sussidio universale» con la Cig in deroga e con i fondi per la formazione, la riforma dei centri per l’impiego. E soprattutto quella della gestione separata dell’Inps, una truffa istituita dalla riforma Dini del 1996 ai danni dei lavoratori indipendenti che versano i contributi ma non riceveranno mai una pensione. Su tutto questo Renzi dovrà garantire anche la Cisl di Bonanni che esclude l’universalità del sussidio per i precari e vuole far pagare di più la flessibilità. E dovrà anche affrontare gli ultra-liberisti del Nuovo Centro Destra che ieri con Renato Schifani hanno rilanciato la proposta lunare di abolire la contrattazione nazionale a favore di quella territoriale.

Il colpo alla maggioranza che tiene in vita il governo Letta l’ha dato l’ex ministro del lavoro Sacconi per il quale «Renzi vuole continuare la strada della sinistra. Quella per cui le regole semplici non fanno lavoro ma al contrario, solo una volta determinata altrimenti la maggiore occupazione si può parlare di riregolazione, solo ai fini di una maggiore equità sociale». Si prepara uno scontro durissimo. Sarà difficile mantenere per il Pd la barra al centro.

Pubblicato su Il Manifesto 8 gennaio 2014

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