Nella Cgil è in atto una
battaglia decisiva in vista del congresso che si terrà a maggio. Nei
congressi territoriali iniziati da pochi giorni si discuteranno sette
emendamenti al documento unico proposto dalle componenti della
confederazione. Quella che viene indicata come la sinistra interna
del sindacato di Corso Italia, la Fiom di Maurizio Landini, la Flc
(scuola, università e ricerca) di Domenico Pantaleo e l'area
“lLavoro e società” ne hanno proposti due insieme.
Il primo è sulla riforma
Fornero: si chiede di ripristinare i 40 anni di contributi per andare
in pensione a 60 anni e riduzione dell'età pensionabile per i lavori
usuranti. Nel testo viene denunciata “l'irrilevanza della protesta”
contro la riforma approvata nel 2012. Il secondo è ancora più
importante: si chiede alla confederazione di battersi a favore
dell'istituzione di un reddito minimo garantito in Italia, unico
paese europeo insieme alla Grecia a non prevederlo “per chi si
trova in uno stato di disoccupazione, inoccupazione”, utile anche a
“integrare il reddito di chi ha un lavoro povero e una pensione
molto bassa”.
Quest'ultima è una
precisazione importante, utile a sganciare questa misura
universalistica a favore delle persone dallo strumento ricattatorio
ai danni dei giovani o dei precari che sembra emergere nel confuso
dibattito agitato dal segretario Pd Matteo Renzi nel “Jobs Act”
per quanto riguarda il “sussidio universale” biennale da erogare
a tutti “a condizione di accettare una proposta di lavoro”. La
sinistra sindacale propone invece qualcosa di innovativo, anche
rispetto a quanto accade nei paesi europei dove esiste un reddito
minimo sempre legato al cosiddetto ricatto “workfarista”: o
accetti una su due proposte di lavoro, oppure perdi il sussidio.
La proposta di lavoro
dev'essere invece congrua rispetto alla formazione e alle aspirazioni
dell'individuo; il reddito erogato deve continuare a esserlo fino al
definitivo miglioramento delle condizioni materiali di esistenza
(cioè al di sopra del livello di povertà); non dev'essere
alternativo al riconoscimento dei diritti alla formazione
professionale o allo studio, ma essere integrativo; deve infine
sostenere i redditi delle persone che sono in pensione, oppure sono
disoccupate ad un'età che non permette un immediato ritorno sul
mercato del lavoro (45-50 anni, ad esempio).
Nel caso, non certo
scontato, di un voto favorevole nel congresso di maggio, sarebbe una
rivoluzione culturale dentro Corso Italia. Mai prima di oggi,
infatti, in un sindacato solidamente ancorato nella cultura lavorista
che teorizza la prevalenza dello strumento del contratto e la
garanzia dei diritti del lavoro dipendente si è cercato di affermare
una visione che mette al centro gli interessi e la persona
indipendentemente dal contratto, dalla tipologia del lavoro e dal
reddito posseduto. È un'eresia, anche da un altro punto di vista.
Per finanziare una simile iniziativa, infatti, c'è bisogno di una
riforma globale degli ammortizzatori sociali.
Non solo, come chiedeRenzi, della cassa integrazione guadagni (Cig) in deroga, cioè
quella misura straordinaria avviata dal governo Berlusconi per
finanziare la disoccupazione dei lavoratori la cui azienda è stata
colpita dalla crisi (almeno 3 miliardi di euro all'anno, e siamo
arrivati al 4 anno consecutivo). Per creare le premesse di un Welfare
universale in Italia, questo è l'obiettivo dell'emendamento
sindacale, è necessaria una riforma della fiscalità generale, della
contrattazione nell'ambito del lavoro indipendente (dove praticamente
non esiste, e se esiste riguarda alcune categorie sindacalizzate);
dell'Inps; una drastica riduzione dei contratti precari (46).
Domani
nell'Aula 1 della facoltà di Lettere della Sapienza di Roma, a
partire dalle 15, questa proposta dei sindacati verrà discussa
insieme alle associazioni, ai movimenti, agli studenti che hanno
promosso dibattiti, raccolte di firme, leggi popolari e proposte di
leggi parlamentari sul reddito minimo. L'emendamento sul reddito
minimo al documento sindacale può essere considerato uno dei
risultati di una campagna instancabile, condotta da centinaia di
associazioni e movimenti che dal 2011 hanno raccolto più di 50 mila
firme confluite nella legge di proposta popolare per l'istituzione di
un reddito minimo in Italia. Il risultato è stato poi raccolto nella
proposta di legge presentata dal Sinistra Ecologia e Libertà alla
camera, dove sono presenti altre due proposte del Partito Democratico
e del Movimento 5 Stelle. I tre partiti parteciperanno all'assemblea.
Uno degli esiti
possibili, anche questo non scontato, della coincidenza tra il
dibattito sindacale e quello parlamentare potrebbe essere una “larga
intesa” tra Pd, Sel e 5 stelle che potrebbero convergere su
un'unica proposta, facendola approvare dal parlamento. È
lo scenario proposto da un appello diffuso dal Basic Income
Network-Italia (Bin), lo snodo associativo attraverso il quale
sono passati negli ultimi anni i principali dibattiti sul reddito
garantito e le iniziative di legge. I sindacati lo hanno fatto
proprio e lo rilanciano. Anche per queste forze politiche potrebbe
essere uno scenario preferibile alle “ristrette intese” tra Letta
e Alfano che governano il paese.
Roberto Ciccarelli
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