Giuseppe Allegri
Un confronto sui luoghi del lavoro, sui nuovi impieghi e sulle forme non
convenzionali di precariato venerdì 13 giugno alle ore 20.00,
Fondazione OAT, BasicVillage – Tettoia Gregoretti, corso Regio Parco 39
Fondazione OAT, BasicVillage – Tettoia Gregoretti, corso Regio Parco 39
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Dietro
l'evocazione del quinto stato
si cela una condizione esistenziale e lavorativa vissuta da milioni
di persone in tutta Europa e soprattutto in Italia. È una
condizione sociale in bilico tra lavoro
indipendente
e autonomo,
nuove e vecchie forme di precarietà
e flessibilità
verso il basso, quindi tra autonoma intrapresa sociale e nuova
subordinazione economica.
Ilquinto stato è una condizione sociale che si è affermata nelle vecchie
e nelle nuove
professioni
(dai più o meno giovani avvocati ed architetti, ricercatrici e
consulenti, grafici, esperti di marketing, etc.) e in tutte le
attività sospese tra precarietà
delle committenze
e dei contratti di lavoro, pericolo di dipendenza e subordinazione
economica, quindi intermittenza
di retribuzione.
Riguarda vari settori delle economie della conoscenza, cultura,
relazioni e cura alle persone. È una condizione vissuta da
milioni di persone che, soprattutto in Italia, rimangono esclusi
dai diritti sociali fondamentali,
ancora calibrati sulla figura del lavoro subordinato standard, anche
se oramai anch'essa sempre più impoverita di diritti.
Nel
Quinto
Stato
potrebbe rispecchiarsi chi conduce un’auto-impresa o esercita il
lavoro autonomo nell’ambito delle relazioni pubbliche e dei beni
immateriali. Ma anche dipendenti intermittenti e precari della
pubblica amministrazione, come del privato, nei servizi, nella
cultura, istruzione, formazione e informazione, nel commercio,
urbanistica, logistica o nei grandi eventi. Ci sono anche stagisti,
apprendisti, tirocinanti, molti dei quali diplomati o laureati.
Quindi milioni di persone sospese tra inoccupazione, sottoccupazione
e disoccupazione, in progressiva crescita, soprattutto nei Paesi
dell'Europa mediterranea. Tutti questi milioni di persone,
soprattutto in Italia, non hanno mai conosciuto le garanzie di base
di un Welfare
universale
e però producono
gran parte di quella ricchezza culturale, sociale e di relazioni che
dovrebbe permettere al Paese di uscire da questo impoverimento
generalizzato.
Impresa
comune
Perché
l'analisi della condizione di Quinto Stato è anche un modo per
tornare a parlare di innovazione
economica e sociale
ripensando la tradizionale articolazione del fare impresa e del
creare lavoro. Mettendo
in tensione il già labile confine tra forme del lavoro
autonomo, indipendente e della piccola (auto-)impresa, spesso
cooperativa, con le sperimentazioni di spazi
condivisi di lavoro collettivo,
coworking,
nei FabLab,
piuttosto che nei piccoli laboratori di nuovi e più
tradizionali artigiani. Ed
è oramai chiaro che si crea
sempre maggiore valore sfruttando risorse messe in comune,
come conoscenze, saperi, capacità relazionali e comunicative,
competenze, intuizioni, etc., quasi in “un'impresa
comune”,
che finisce per realizzare profitti per altri, ma non per i soggetti
e i territori che hanno contribuito a produrre quella ricchezza.
Per
questo è utile contribuire anche alla creazione di ecosistemi
sociali
che tengano insieme i soggetti, spesso impoveriti, delle nuove forme
del lavoro con quegli spazi che quotidianamente sperimentano reti di
economia collaborativa, tra associazionismo civico e di promozione
sociale, imprese culturali, biblioteche, enti locali, imprenditoria
sensibile all'innovazione e alla valorizzazione dei territori.
È
una scommessa che permetterebbe di ripensare radicalmente il rapporto
tra economia, produzione e distribuzione di ricchezza, le istanze dei
territori e i soggetti sociali, economici, istituzionali e culturali
che li vivono, assumendo la centralità della “svolta
spaziale” (spatial
turn)
come occasione per immaginare e praticare una nuova idea di società
e di ecosistemi con sempre maggiore sensibilità alla cura dei
territori e delle diverse forme di vita.
Diritto
alla città e Welfare universale
A
partire dal rendere operativo un diritto
alla città
che metta in rete buone
pratiche,
spesso sconosciute, che si danno in giro per l'Italia. In un dialogo
con le altre esperienze che si realizzano nei territori e nelle città
d'Europa, per definire filiere corte e lunghe di innovazione
culturale, istituzionale, sociale ed economica. Una piccola, grande
leva di una trasformazione che stenta a vedere la luce, perché
spesso non trova i soggetti istituzionali in grado di accompagnare e
sostenere questo processo.
Dalla necessità di un sistema di
moderno
Welfare
universale
che tuteli e valorizzi la persona nella sua esistenza individuale,
sociale e collettiva, alla previsione di adeguate
politiche pubbliche
in grado di adottare interventi efficaci ed efficienti nel
valorizzare le risorse culturali, economiche e sociali di un
determinato territorio, di una specifica filiera di produzione, di un
particolare settore innovativo.
Perché
solo rimettendo in connessione la pluralità di idee,
conoscenze e pratiche e creando collegamenti tra territori, soggetti
e istituzioni, con una nuova immaginazione e visione sociale, è
possibile uscire dalla gabbia d'acciaio dell'impoverimento
individuale e collettivo.
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