giovedì 12 giugno 2014

TORINO: IL QUINTO STATO AL FESTIVAL ARCHITETTURA IN CITTA'

Giuseppe Allegri

Un confronto sui luoghi del lavoro, sui nuovi impieghi e sulle forme non convenzionali di precariato venerdì 13 giugno alle ore 20.00,
Fondazione OAT, BasicVillage – Tettoia Gregoretti, corso Regio Parco 39

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Dietro l'evocazione del quinto stato si cela una condizione esistenziale e lavorativa vissuta da milioni di persone in tutta Europa e soprattutto in Italia. È una condizione sociale in bilico tra lavoro indipendente e autonomo, nuove e vecchie forme di precarietà e flessibilità verso il basso, quindi tra autonoma intrapresa sociale e nuova subordinazione economica.

Ilquinto stato è una condizione sociale che si è affermata nelle vecchie e nelle nuove professioni (dai più o meno giovani avvocati ed architetti, ricercatrici e consulenti, grafici, esperti di marketing, etc.) e in tutte le attività sospese tra precarietà delle committenze e dei contratti di lavoro, pericolo di dipendenza e subordinazione economica, quindi intermittenza di retribuzione. Riguarda vari settori delle economie della conoscenza, cultura, relazioni e cura alle persone. È una condizione vissuta da milioni di persone che, soprattutto in Italia, rimangono esclusi dai diritti sociali fondamentali, ancora calibrati sulla figura del lavoro subordinato standard, anche se oramai anch'essa sempre più impoverita di diritti.


L’architetto Benedetta Tagliabue e il ricercatore Giuseppe Allegri si confrontano sui luoghi del lavoro, sui nuovi impieghi e sulle forme non convenzionali di precariato venerdì 13 giugno alle ore 20.00.
Nel Quinto Stato potrebbe rispecchiarsi chi conduce un’auto-impresa o esercita il lavoro autonomo nell’ambito delle relazioni pubbliche e dei beni immateriali. Ma anche dipendenti intermittenti e precari della pubblica amministrazione, come del privato, nei servizi, nella cultura, istruzione, formazione e informazione, nel commercio, urbanistica, logistica o nei grandi eventi. Ci sono anche stagisti, apprendisti, tirocinanti, molti dei quali diplomati o laureati. Quindi milioni di persone sospese tra inoccupazione, sottoccupazione e disoccupazione, in progressiva crescita, soprattutto nei Paesi dell'Europa mediterranea. Tutti questi milioni di persone, soprattutto in Italia, non hanno mai conosciuto le garanzie di base di un Welfare universale e però producono gran parte di quella ricchezza culturale, sociale e di relazioni che dovrebbe permettere al Paese di uscire da questo impoverimento generalizzato.

Impresa comune

Perché l'analisi della condizione di Quinto Stato è anche un modo per tornare a parlare di innovazione economica e sociale ripensando la tradizionale articolazione del fare impresa e del creare lavoro. Mettendo in tensione il già labile confine tra forme del lavoro autonomo, indipendente e della piccola (auto-)impresa, spesso cooperativa, con le sperimentazioni di spazi condivisi di lavoro collettivo, coworking, nei FabLab, piuttosto che nei piccoli laboratori di nuovi e più tradizionali artigiani. Ed è oramai chiaro che si crea sempre maggiore valore sfruttando risorse messe in comune, come conoscenze, saperi, capacità relazionali e comunicative, competenze, intuizioni, etc., quasi in “un'impresa comune”, che finisce per realizzare profitti per altri, ma non per i soggetti e i territori che hanno contribuito a produrre quella ricchezza. 
 
Per questo è utile contribuire anche alla creazione di ecosistemi sociali che tengano insieme i soggetti, spesso impoveriti, delle nuove forme del lavoro con quegli spazi che quotidianamente sperimentano reti di economia collaborativa, tra associazionismo civico e di promozione sociale, imprese culturali, biblioteche, enti locali, imprenditoria sensibile all'innovazione e alla valorizzazione dei territori.

È una scommessa che permetterebbe di ripensare radicalmente il rapporto tra economia, produzione e distribuzione di ricchezza, le istanze dei territori e i soggetti sociali, economici, istituzionali e culturali che li vivono, assumendo la centralità della “svolta spaziale” (spatial turn) come occasione per immaginare e praticare una nuova idea di società e di ecosistemi con sempre maggiore sensibilità alla cura dei territori e delle diverse forme di vita.

Diritto alla città e Welfare universale

A partire dal rendere operativo un diritto alla città che metta in rete buone pratiche, spesso sconosciute, che si danno in giro per l'Italia. In un dialogo con le altre esperienze che si realizzano nei territori e nelle città d'Europa, per definire filiere corte e lunghe di innovazione culturale, istituzionale, sociale ed economica. Una piccola, grande leva di una trasformazione che stenta a vedere la luce, perché spesso non trova i soggetti istituzionali in grado di accompagnare e sostenere questo processo. 

Dalla necessità di un sistema di moderno Welfare universale che tuteli e valorizzi la persona nella sua esistenza individuale, sociale e collettiva, alla previsione di adeguate politiche pubbliche in grado di adottare interventi efficaci ed efficienti nel valorizzare le risorse culturali, economiche e sociali di un determinato territorio, di una specifica filiera di produzione, di un particolare settore innovativo.

Perché solo rimettendo in connessione la pluralità di idee, conoscenze e pratiche e creando collegamenti tra territori, soggetti e istituzioni, con una nuova immaginazione e visione sociale, è possibile uscire dalla gabbia d'acciaio dell'impoverimento individuale e collettivo.

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