Tiziana Drago
Caro editore Ponte alle Grazie,
il destino de Il Quinto Stato (il macero!) porta tutti noi sulla soglia di una verità insieme semplice e intollerabile: l’immiserimento culturale e civile divora ogni piega della società italiana. Non c’è rifugio, non c’è ritorno, non c’è approdo.
Già da tempo il narcisismo livoroso della nostra intellettualità più o meno di sinistra tiene ben al riparo dalla scoperta degli abissi delle condizioni materiali e lascia affiorare una trama esclusiva di nobili disagi e ludici disimpegni, di egoismi e interessi individuali (o di gruppi e corporazioni) e agili cinismi.
Paccottiglia editoriale, per lo più. E comunque l’esercizio di un privilegio: quello di chi, sia pur renitente e non senza apprezzabili tormenti, sta dalla parte delle apparenze sempre più rarefatte e immateriali del dominio.
Ciononostante, continua ad apparirmi paradossale e insensato che la mancanza di alternative alle ferree leggi del sistema (immagino sia questa la ragione) possa essere il lasciapassare all’appiattimento politico-culturale, all’azzeramento del conflitto, alla rincorsa dei modelli proposti dal mercato editoriale.
Si può essere nello stesso tempo consapevoli della deriva della realtà, della sua privatizzazione e dipendenza dal cinismo indotti dal sistema e poi adattarsi all’immutabilità dell’esistente? Si può essere insieme autonomi dal sistema e pronti a fiutare ogni moda e indirizzo del mercato culturale? Pronti a cogliere la sfida e cautelosi? Privi di passato e di futuro, quietamente immemori e accecati?
Pare proprio di sì.
Perché è questo che accade quando si sceglie di pubblicare e, insieme, di mandare al macero un libro come Il Quinto Stato, non semplicemente un’inchiesta sul lavoro autonomo, precario e freelance, ma il punto di amplificazione e di diffusione del dibattito politico sulle nuove (mai domate) liminarità cognitive, la ricerca inquieta e mai conclusa di un senso per la costruzione di identità future, la prospettiva di un significato da elaborare collettivamente.
Quanto più Il Quinto Stato si è imposto come riferimento per una intera generazione di lavoratori cognitivi, tanto più appare aberrante la decisione di lacerare il patto editoriale e insensata la coazione aprioristica al profitto, imposta con rara protervia dalle regole del mercato.
Mi rendo conto che fare della liminarità un valore, o un marchio di fabbrica, appaia fuori dallo spirito dei tempi, ma forse si dovrebbe trovare il coraggio di ammettere che l’impotenza non è obbligatoria, che la tirannia delle leggi economiche è un comodo alibi, accettato come un dogma e mai sottoposto a verifica, che un nuovo modello di lavoro e di cittadinanza è possibile.
È quanto Il Quinto Stato continuerà a fare comunque, sfidando dogmi e ortodossie, scavalcando confini e circuiti tradizionali, rappresentando ragioni solitamente censurate. Nuove energie si stanno mobilitando e l’utopia concreta del Quinto Stato sta diventando l’occasione per una campagna pubblica sulla politica culturale nel nostro Paese, la possibilità di una militanza ancora aperta al futuro.
Un’occasione persa per Ponte alle Grazie, ma la possibilità per un’intera generazione di recuperare le risorse profonde (teoriche e concrete) dell’immaginazione e del desiderio. Un territorio è già stato occupato. Si intende ora liberarlo.
Perdoni se mi prende una qualche impazienza riguardo al libro (e al nostro futuro collettivo), ma temo di non poter sperare in un suo illuminato ripensamento.
*Ricercatrice Università di Bari
*** La campagna: Il quinto stato salvato dal macero***
Estratto: Che cos'è il Quinto stato
Il Quinto stato, il libro salvato dal macero
Il Quinto stato: tutelare freelance e indipendenti, forza-lavoro del futuro
*** Il Quinto stato si trova oggi nella libreria Piuma di Mare in via Ostiense 124 a Roma.
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