Pubblicata sul sito redditogarantito.it, dove verranno raccolte le adesioni, le idee, le iniziative e i luoghi dove firmare, la proposta di legge prevede l'erogazione di un reddito pari a 7200 euro all'anno, 600 euro al mese rivalutati annualmente sul costo della vita elaborati dall'Istat, e intende garantire ai cittadini con residenza in Italia da due anni, iscritti ai centri per l'impiego, una base economica al di sopra della soglia di povertà. La proposta di legge riconosce inoltre un sussidio annuale, rinnovabile, a tutte le categorie dei lavoratori indipendente, autonomi con partita Iva, precari, flessibili, come accade nella stragrande maggioranza dei paesi europei.
Obiettivo: proteggere le persone
Di nuovo, nella proposta, c'è anche il «salario minimo orario», cioè un tetto minimo sotto il quale non è possibile pagare i collaboratori e prevede una riforma degli ammortizzatori sociali. Una volta approvata, il governo sarà obbligato a creare un sussidio unico di disoccupazione esteso a tutti i lavoratori, al di là della tipologia contrattuale e lo obbliga a riordinare tutte le prestazioni assistenziali. Per quanto riguarda le Regioni e gli altri enti locali, la proposta prevede l'erogazione di un «reddito indiretto» attraverso l' affitto, servizi culturali o trasporti.
Ricavata dalla legge sul reddito approvata dalla Regione Lazio nel 2009 che vide l'adesione di oltre 115 mila persone, mai più rifinanziata dalla giunta Polverini, la proposta di legge fa proprio il suo concetto più importante, quello di «congruità». Questo significa che l'accettazione di un'offerta di lavoro è valida solo se congrua con gli studi e le competenze acquisite da una persona nei suoi lavori precedenti. Il beneficiario del reddito minimo potrà dunque rifiutare un'offerta di lavoro sottopagato, esposto al ricatto e non coerente con la sua formazione. La prospettiva dello scioglimento delle Camere non spaventa i promotori. Sono, anzi, convinti che l'iniziativa sia uno stimolo per la prossima maggioranza ad adottare una vera riforma del Welfare. E auspicano l'adesione dai sindacati che si dichiarano favorevoli al reddito garantito.
«Crediamo che questa sia l'occasione per imporre il reddito nell'agenda politica del paese - afferma Sandro Gobetti del Bin - l'urgenza di questa proposta viene evidenziata ogni giorno dai dati che raccontano un default sociale sempre più grave, 36 per cento di disoccupazione giovanile, un tasso reale di disoccupazione ben più alto di quello ufficiale, che sfiora il 20 per cento».
Roberto Ciccarelli
Fuori dal coma
Nella depressione sociale ed esistenziale che pervade questo Paese questo è un evento da salutare con una notevole dose di entusiasmo. Soprattutto dinanzi a una crisi che condanna milioni di donne ed uomini al rischio povertà e alla miseria economica e sociale, in una vita asservita all'ossessione del lavoro e della sua mancanza.
Questa iniziativa dovrebbe anche scuotere il coma letale, riguardo alla previsione di politiche sociali minimamente garantistiche, in cui è sprofondato il centro-sinistra al governo nell'attuale, rimodellata, unità nazionale per salvare il Paese a suon di politiche recessive e di austerity imposte dall'Unione europea. Ma una volta tanto i leader - o quel che ne rimane - della sinistra parlamentare potrebbero avere l'intuizione di osservare - e possibilmente dire, nelle loro quotidiane e logorroiche dichiarazioni stampa - che proprio la garanzia di un reddito di base ci è richiesta dall'Unione europea, per lo meno da un ventennio, a cominciare da una celebre raccomandazione del 1992 (la 92/441 Cee), rispetto alla quale rimaniamo tuttora inadempienti.
Soprattutto un'iniziativa popolare di tale tenore permetterebbe di parlare all'intera società e non è per nulla un caso che questa proposta parta proprio con una spinta dal basso di quell'associazionismo consapevole che sul tema del reddito minimo garantito si gioca non solo la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, ma la concreta possibilità di affermare una nuova idea di società e un radicale ripensamento del nostro sistema di Welfare; tutelare la persona «nel mercato del lavoro» - come va di moda dire - o, piuttosto, nella società in cui la persona vive, si organizza e tesse le sue relazioni; portare le garanzie aldilà dell'impiego tradizionale. Questi sono i modi per rilanciare un progetto egualitario di garanzia intergenerazionale.
Il reddito minimo garantito può essere inteso come un nuovo diritto fondamentale: uno ius existentiae, per realizzare una rete di protezione che affronti meglio la crisi sociale che stiamo attraversando. Ed è un rimedio alla crisi esistenziale che impedisce di abbandonare le persone nei momenti di difficoltà. Insomma il reddito minimo garantito è uno strumento di eguaglianza delle persone (nelle tutele) e di sviluppo dell'autodeterminazione esistenziale di ciascuno.
E prospetta una società realmente garantista che metta nelle condizioni di rilanciare la propria esperienza e quindi contribuire al miglioramento sociale. Il reddito è, infine, l'affermazione di un modello sociale che permetta di sfuggire ai ricatti e investire collettivamente su forme di buona e degna vita, ancor più in un contesto di impoverimento generalizzato e intollerante populismo.
Capirà l'agonizzante sinistra?
Tutto questo dovrebbe parlare in modo evidente e ineludibile a quel che resta della sinistra. La riappropriazione di un tradizionale strumento di democrazia diretta, per imporre alle sorde rappresentanze parlamentari scelte di politiche sociali più garantistiche - a partire dall'introduzione di un reddito minimo garantito - ci parla della possibilità di praticare un'uscita dalla crisi affermando una reale giustizia sociale, a fronte di un uso retorico che invoca un'equità che si trasforma nel suo opposto. Lo capirà l'agonizzante sinistra sindacale e parlamentare? Intanto quel che di meglio si muove nella società sembra averlo capito.
Giuseppe Allegri
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