mercoledì 2 aprile 2014

IL LAVORO E' INTERMITTENTE, LA MIA VITA NO

Giuseppe Allegri

È un libro collettivo, polifonico e dissonante, questo Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro, curato da Sandra Burchi e Teresa Di Martino (Iacobelli editore, p. 225, 14,90 euro). Collettivo e polifonico perché presenta quasi una ventina di interventi di ricercatrici, studiose, attiviste, femministe intorno al nodo lavoro/non lavoro. Si parte con Carole Pateman e si giunge al collettivo romano Diversamente occupate, per prendere i due saggi di apertura e chiusura. Dissonante perché si situa volutamente fuori dal coro della retorica lavorista, familista e paternalista che ammorba l'aria del discorso pubblico appena si comincia a parlare di lavoro e della sua mancanza. Soprattutto dinanzi al recente Decreto Poletti-Renzi di definitiva precarizzazione delle forme del lavoro e in attesa della legge delega sul JobsAct

 
Impossibile riportare la ricchezza di analisi, riflessioni e proposte squadernata nelle tre parti in cui si divide il libro. Come dicono le curatrici, l'intento è quello di «considerare la posizione di una donna come la posizione da cui pensare una giustizia per tutti, ovvero le forme delle relazioni pensate su grande scala». Andando quindi oltre i tradizionali modi di intendere e praticare cittadinanza, denaro, spazio pubblico e partendo dall'esperienza presente, delle vite di donne «che parlano da una posizione incarnata». È la lezione irriducibile del femminismo, che vuole «conoscere e intervenire sulle insufficienze dei momenti più alti della tradizione maschile», per citare Carla Lonzi, ricordata da Federica Giardini nella prefazione a questo libro. Con la consapevolezza di disinnescare luoghi comuni e pregiudizi, per indagare pratiche, esperienze, relazioni e conflitti capaci di generare anche diritti. 
 
E allora, un filo conduttore potente, che accompagna molti interventi, è la rivendicazione concreta e al contempo radicale, perché va alla radice delle condizioni di vita, di un reddito di base. «Il diritto al reddito di base è analogo al diritto di voto – un diritto democratico di tutti i cittadini», afferma inequivocabilmente Carole Pateman, a venticinque anni dal suo celebre Il contratto sessuale (Editori Riuniti). Ina Praetorious descrive il «reddito di base incondizionato» come progetto sociale, economico ed esistenziale «post-patriarcale», citando alcune iniziative concrete (tra Brasile, India, Namibia e Svizzera). Eleonora Forenza e Maria Pia Pizzolante parlano di reddito di autodeterminazione. È l'affermazione di un concreto diritto universale, frutto di un diritto vivente e pietra angolare di un nuovo Welfare, che non sia più vessatorio, selettivo, burocratico, corporativo e paternalista. Una chiave di volta che permetta di ripensare il «nodo cittadinanza/lavoro» nell'epoca della precaria flessibilità delle forme del lavoro e delle relazioni familiari (Alessandra Gissi). Perché quel nodo è tutto da scardinare. Andando oltre il dilemma pauperistico «cittadinanza senza lavoro/lavoro senza cittadinanza» (Anna Simone). Dinanzi a un lavoro che si mangia la vita, quando si lavora a casa (Claudia Bruno e Sandra Burchi), e che confina tutte e tutti noi in un «equilibrio instabile tra tempi di lavoro e di vita» (Annalisa Murgia). 

 
Siamo dinanzi a prospettive che nessun legislatore è lontanamente in grado di intuire, almeno in questo improbabile teatrino che è la politica italiana. Eppure le autrici rifiutano qualsiasi ottica vittimistica e malinconica. Piuttosto pensano un balzo in avanti, che faccia tesoro dei fili rossi di ininterrotti processi di emancipazione. Per tenere insieme questo sforzo di immaginazione costituente il libro ci indica la possibilità di ripartire da «vecchie e nuove pratiche» (Elena Doria), come quelle di un mutualismo che evochi le possibilità di autogoverno delle proprie esistenze singolari e in comune. Tornare a ripensare le origini del quarto stato per riconoscersi nel quinto stato e nella sua urgenza di tutelare il lavoro vivo e le vite oltre il lavoro. 

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