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giovedì 11 febbraio 2016

UN FREELANCE MODELLO OLIVETTI



Roberto Ciccarelli

«Il vento di Adriano» di Revelli, Bonomi e Magnaghi, per DeriveApprodi. I co-workers e l’imprenditore visionario: secondo gli autori del libro, sono loro oggi gli attori della costituzione civile fondata sull’auto-governo. Un'altra idea di "società di mezzo" nel nome dell'industriale visionario

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Adriano Olivetti ha creato la via per il fordismo dolce, scrive Marco Revelli in un libro curioso e sperimentale con Aldo Bonomi e Alberto Magnaghi Il vento di Adriano (DeriveApprodi) dedicato all’«attualità inattuale» dell’industriale visionario.

Imprenditore di successo, lontano dal capitalismo della Fiat che incarnava il modello hard del fordismo: militaresco, onnivoro, imperialistico, Olivetti ha promosso l’idea di un’impresa che vive in osmosi con il territorio grazie a un patto politico e civile. Queste caratteristiche lo rendono oggi il testimone di una sensibilità che gli autori del libro proiettano sulle figure del lavoro autonomo (i freelance); dell’«economia della condivisione» (i makers o i coworkers); sui costruttori di comunità sociali e ecosistemi civili; sulle lotte per i beni comuni o per la rigenerazione urbana e territoriale; sui giovani precari che ritornano nelle aree interne abbandonate dove avviano esperienze di «welfare di comunità».

martedì 10 novembre 2015

TUTTI I BIANCIARDI DI DOMANI

Roberto Ciccarelli

Quando il lavoro culturale produrrà un reddito. Utopia concreta a partire dalle strategie di condivisione, collaborazione, sharing economy. Dall'editoria e oltre.

*** Pubblicato su Alfabeta2***


Esercizio di immaginazione: il lavoro culturale genera comunità operose. E si organizza in una o più cooperative di mestieri, prodotti, servizi, relazioni che crea una democrazia integrale al suo interno, realizza una critica vivente di ciò che sono oggi le cooperative di lavoro: gerarchiche, a dispetto dello statuto orizzontale; simulatrici di democrazia nei loro organi statutari e non creatrici di relazioni, progetti, interazioni reali.

Mi è stato chiesto di parlare Doc(k)s, una cooperativa di servizi, editoriale, sperimentazione teorica. Ho aderito sin dalla sua nascita e oggi la immagino come una banchina dove le navi senza meta trovano l’approdo. Come un rifugio dal mare in tempesta dove sbarcano comunità spaesate, apolidi sperduti che trovano ristoro e il lontano ricordo di casa. Così intesa una cooperativa che ha l’ambizione di garantire l’indipendenza può diventare una rete di reti autogenerata: editoria, lavoro della conoscenza, cooperazione, servizi e progetti culturali.

L’uso della condivisione

Doc(k)s, come noi che lavoriamo più o meno precariamente nella fabbrica dei segni, oggi si ritrova nell’economia della condivisione. È inevitabile che lo sia se parli di editoria, servizi, organizzi festival o fiere. Per lavorare devi riflettere sul lavoro culturale, immaginare un’alternativa al mercato e alla sua bulimia assassina. Oggi la chiamano: innovazione digitale sociale. È il progetto che ibrida il capitalismo «etico» delle buone pratiche con i nuovi modi di organizzare la democrazia, i consumi, la finanza, ogni aspetto della vita pubblica, persino l’amministrazione locale o statale. Si dice che per governare c’è bisogno della partecipazione di comunità di esperti, cittadini, lavoratori. L’obiettivo delle nuove tecnologie è quello di condividere le risorse e ridistribuire il potere. Si dice che gli strumenti siano neutri: il Liquid Feedback, l’OpenSpending o l’OpenMinistry. Queste piattaforme comunicative puntano a diventare network consapevoli che richiedono la partecipazione attiva per rigenerare le città, proteggere i luoghi dalle speculazioni, mobilitare la cittadinanza e decidere sugli aspetti più importanti della vita associata.