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sabato 12 marzo 2016

FREELANCE E NUOVI BIANCIARDI A MILANO


Milano. Vita da freelance tra smart city e inclusione sociale. A quarant'anni dall'ingegner Gadda e dalla vita agra di Bianciardi. Con Aldo Bonomi, Giuseppe Allegri, Roberto Ciccarelli ne parliamo venerdì 18 marzo, ore 18, al palazzo del ghiaccio in via Piranesi, Bellissima Fiera Milano. Presentazione dei libri Il quinto stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro (MaceroNO) e Libertà e lavoro dopo il Jobs Act (DeriveApprodi)

Su questi temi si discuterà anche domenica 20 marzo alle 10,30, al palazzo del ghiaccio alla tavola rotonda Quelli che lavorano comunicando. I protagonisti diffusi della nuova economia leggera. Con Aldo Bonomi, Cristina Tajani, Luca De Biase, Matteo Bolocan, Annibale D'Elia, Salvatore Cominu

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In programma: Molto Smart, pochi diritti, futuro da scrivere: vita da freelance a Bellissima Fiera, Milano

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Aldo Bonomi
 
Sono i passati i tempi del gran lombardo l’ingegner Gadda, che scriveva dei salotti milanesi ove risuonavano sussurri e grida esaltanti il fare rubinetterie, plastica e frigoriferi per tutti. Erano i tempi dei “cummenda” e della vita agra di Bianciardi, con il suo lavoro intellettuale marginale e precario.

Oggi i sussurri e le grida hanno come grammatica della movida e della convegnistica, la forma moderna del salotto, designer, makers, co-working, fab-lab, sharing economy, eventologi, creativi, neo-fabbriche… E il tutto si fa fantasma e allegoria della smart city. Un bel salto retorico.

martedì 10 novembre 2015

TUTTI I BIANCIARDI DI DOMANI

Roberto Ciccarelli

Quando il lavoro culturale produrrà un reddito. Utopia concreta a partire dalle strategie di condivisione, collaborazione, sharing economy. Dall'editoria e oltre.

*** Pubblicato su Alfabeta2***


Esercizio di immaginazione: il lavoro culturale genera comunità operose. E si organizza in una o più cooperative di mestieri, prodotti, servizi, relazioni che crea una democrazia integrale al suo interno, realizza una critica vivente di ciò che sono oggi le cooperative di lavoro: gerarchiche, a dispetto dello statuto orizzontale; simulatrici di democrazia nei loro organi statutari e non creatrici di relazioni, progetti, interazioni reali.

Mi è stato chiesto di parlare Doc(k)s, una cooperativa di servizi, editoriale, sperimentazione teorica. Ho aderito sin dalla sua nascita e oggi la immagino come una banchina dove le navi senza meta trovano l’approdo. Come un rifugio dal mare in tempesta dove sbarcano comunità spaesate, apolidi sperduti che trovano ristoro e il lontano ricordo di casa. Così intesa una cooperativa che ha l’ambizione di garantire l’indipendenza può diventare una rete di reti autogenerata: editoria, lavoro della conoscenza, cooperazione, servizi e progetti culturali.

L’uso della condivisione

Doc(k)s, come noi che lavoriamo più o meno precariamente nella fabbrica dei segni, oggi si ritrova nell’economia della condivisione. È inevitabile che lo sia se parli di editoria, servizi, organizzi festival o fiere. Per lavorare devi riflettere sul lavoro culturale, immaginare un’alternativa al mercato e alla sua bulimia assassina. Oggi la chiamano: innovazione digitale sociale. È il progetto che ibrida il capitalismo «etico» delle buone pratiche con i nuovi modi di organizzare la democrazia, i consumi, la finanza, ogni aspetto della vita pubblica, persino l’amministrazione locale o statale. Si dice che per governare c’è bisogno della partecipazione di comunità di esperti, cittadini, lavoratori. L’obiettivo delle nuove tecnologie è quello di condividere le risorse e ridistribuire il potere. Si dice che gli strumenti siano neutri: il Liquid Feedback, l’OpenSpending o l’OpenMinistry. Queste piattaforme comunicative puntano a diventare network consapevoli che richiedono la partecipazione attiva per rigenerare le città, proteggere i luoghi dalle speculazioni, mobilitare la cittadinanza e decidere sugli aspetti più importanti della vita associata.

giovedì 30 agosto 2012

VITE DA CONCORSO

Marco, giovane filosofo siciliano, ha superato il test per il «Tirocinio formativo attivo» e si sente un «mostro eterogeneo». Virginia è appena tornata da Barcellona e ha insegnato spagnolo a Livorno, la sua città. Paola, barese, insegna da cinque anni, si sente una nomade e confessa la sua rabbia. Sono tutti in attesa del concorsone scuola.

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Laureato in filosofia a Siena con una tesi sul non senso ini Wittgenstein, Marco Ambra, nato a Caltanisetta 26 anni fa, sta preparando la prova scritta del «tirocinio formativo attivo» (Tfa)  per la classe di insegnamento in storia e filosofia (la «A37») e confessa di sentirsi un «mostro eterogeneo». È stata questa la sensazione che ha provato dopo avere appreso che, dopo 13 anni, ci sarà un nuovo concorsone per la scuola. Oggi sono iscritto in terza fascia nelle graduatorie provinciali per i non abilitati, ho passato il test di ammissione al Tfa e farò anche il concorso quando verrà bandito il prossimo 24 settembre».

Per qualche settimana sembrava che il Tfa dovesse rappresentare la svolta definitiva del sistema di reclutamento dei docenti. Il ministro Profumo assicurava che avrebbe assicurato la valutazione meritocratica e permesso l'ingresso ai giovani nel mondo della scuola, mentre ha solo creato un gigantesco pasticcio sulle domande del test di accesso, molte delle quali errate o fuorvianti. Il Miur ha abbuonato le risposte sbagliate, fino a 25 domande su un totale di 60.