Giuseppe Bronzini
I due anni tra il 2015 ed il 2017 hanno conosciuto una vera e propria “esplosione” del tema del diritto (universale) ad un reddito di base, cioè della garanzia di una vita libera e dignitosa per tutti, per dirla in estrema sintesi.
Sulla querelle terminologica torneremo più avanti più analiticamente ma ci interessa in questa sede riassuntiva delle linee di sviluppo del Volume indagare il perché, nel volgere di un solo biennio, una proposta che suonava ai più come scandalosa ed irritante, lontana dalle dinamiche sociali e dai processi economici, in sostanza come una provocazione di ambienti accademici radicali o di movimenti sociali destinati al minoritarismo ed incapaci di trovare credibili alleanze, sia diventata il fulcro di un così intenso ed appassionante dibattito.
Come è stato osservato il reddito di base sembra diventare, in tendenza, un principio di organizzazione sociale (di rilevanza costituzionale ) intuitivo e irrinunciabile così come lo sono diventati, in altre epoche storiche, l’abolizione della schiavitù o il voto alle donne: il fondatore della rete internazionale ( diffusa in trenta paesi) del BIEN ( Basic income network) Philippe Van Parjis ha azzardato, in relazione a questo mutamento di clima (che sfortunatamente coinvolge l’Italia solo marginalmente) la battuta “ un giorno di domanderemo come abbiamo potuto vivere senza un reddito di base universale”.
E’ la centralità che il discorso sulla garanzia di un “ reddito di base” ha assunto nel confronto internazionale, che coinvolge non solo gli Autori che cercano una dimensione “emancipativa” nella trasformazione tecnologica in corso o ne denunciano i pericoli e le minacce, ma persino i “signori della rete” ed il World Economic Forum, così come importanti Istituzioni come il Parlamento europeo, Stati del vecchio continente o Paesi emergenti, che deve essere spiegata prima ancora di esaminare l’accettabilità di questa prospettiva, la sua concreta fattibilità ed il rapporto con la diversa misura , ma secondo la tesi di questo Volume, vicina per finalità ed ispirazione, del “ reddito minimo garantito”( d’ora in poi RMG) come protezione di chi versa concretamente in una situazione di bisogno.
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martedì 13 febbraio 2018
martedì 17 novembre 2015
LIBERTA' E LAVORO DOPO IL JOBS ACT
Un libro di Giuseppe Allegri - Giuseppe Bronzini: Libertà e lavoro dopo il Jobs Act, DeriveApprodi
Qual è il futuro del lavoro in Italia? E cosa diventa il diritto del lavoro dopo un lungo ventennio di “riforme”, che lo hanno reso precario e flessibile, senza offrire adeguate garanzie e tutele sociali? Per rispondere è necessario partire dal celebre Pacchetto Treu del 1997 e proseguire fino ai recenti decreti del Jobs Act del Governo Renzi e del Ministro Poletti, che intendono approvare per la metà del 2016 uno “Statuto per il lavoro autonomo non imprenditoriale”.
Perché tutte queste innovazioni normative non sembrano prendere in considerazione la “grande trasformazione” imposta delle nuove tecnologie digitali dell'informazione e comunicazione, con il conseguente declino della società salariale e dell'istituto della subordinazione.
Sono sempre più diffusi i casi di soggetti individuali e collettivi che offrono le loro prestazioni direttamente sul web, ove si eseguono le transazioni, spesso sospesi tra lavoro gratuito e mancanza di garanzie. Nel mondo sono già alcune decine di milioni le persone impegnate nel cosiddetto crowd-work (lavoro online i cui i richiedenti designati postano i lavori disponibili per quella che è in pratica una forza lavoro globale a chiamata, a tutte le ore di tutti i giorni) e altre decine di milioni sono i “contratti a zero ore” (disponibilità assoluta, a semplice chiamata attraverso una app) e altri milioni sono persi nel “lavoro a rubinetto” (la produzione di servizi in forma completamente decentrata da parte di mini-imprese capaci di sfruttare app, cellulari e tecnologia).
Stiamo tutti diventando degli independent contractors, degli indipendenti nella rete?
Sembra essere questo il frutto avvelenato della sharing economy: quell'economia collaborativa che si muove tra possibile emancipazione individuale e collettiva e pericolose forme di auto-sfruttamento. Le trasformazioni del lavoro necessitano di un'adeguata politica che si confronti direttamente con possibilità di innovazione sociale, economica, istituzionale. È non è un caso che molti autori di riferimento a livello internazionale si interroghino sulla necessità di sperimentare un reddito di base universale come misura all'altezza della rivoluzione del lavoro che stiamo vivendo.
La tutela del lavoro autonomo e indipendente, infatti, non richiama solo problemi di equità e giustizia sociale, ma anche di libertà individuale e collettiva. Si tratta di definire una certa idea di società e di mettere le persone in condizione di poter dire “no” ai ricatti occupazionali e di scegliere, il più possibile, tempi, contenuti e modalità, del “proprio” contributo alla giornata lavorativa sociale. Questo è il punto sviluppato nel presente volume, riprendendo un vivace dibattito italiano, europeo ed anche mondiale sul tema del “destino del diritto del lavoro” e dei sistemi di Welfare.
In questo libro si prova a raccontare la società che viene, partendo dall'urgenza condivisa di garantire l'autonomia delle persone nelle proprie scelte individuali e relazioni collettive.
Qual è il futuro del lavoro in Italia? E cosa diventa il diritto del lavoro dopo un lungo ventennio di “riforme”, che lo hanno reso precario e flessibile, senza offrire adeguate garanzie e tutele sociali? Per rispondere è necessario partire dal celebre Pacchetto Treu del 1997 e proseguire fino ai recenti decreti del Jobs Act del Governo Renzi e del Ministro Poletti, che intendono approvare per la metà del 2016 uno “Statuto per il lavoro autonomo non imprenditoriale”.
Perché tutte queste innovazioni normative non sembrano prendere in considerazione la “grande trasformazione” imposta delle nuove tecnologie digitali dell'informazione e comunicazione, con il conseguente declino della società salariale e dell'istituto della subordinazione.
Sono sempre più diffusi i casi di soggetti individuali e collettivi che offrono le loro prestazioni direttamente sul web, ove si eseguono le transazioni, spesso sospesi tra lavoro gratuito e mancanza di garanzie. Nel mondo sono già alcune decine di milioni le persone impegnate nel cosiddetto crowd-work (lavoro online i cui i richiedenti designati postano i lavori disponibili per quella che è in pratica una forza lavoro globale a chiamata, a tutte le ore di tutti i giorni) e altre decine di milioni sono i “contratti a zero ore” (disponibilità assoluta, a semplice chiamata attraverso una app) e altri milioni sono persi nel “lavoro a rubinetto” (la produzione di servizi in forma completamente decentrata da parte di mini-imprese capaci di sfruttare app, cellulari e tecnologia).
Stiamo tutti diventando degli independent contractors, degli indipendenti nella rete?
Sembra essere questo il frutto avvelenato della sharing economy: quell'economia collaborativa che si muove tra possibile emancipazione individuale e collettiva e pericolose forme di auto-sfruttamento. Le trasformazioni del lavoro necessitano di un'adeguata politica che si confronti direttamente con possibilità di innovazione sociale, economica, istituzionale. È non è un caso che molti autori di riferimento a livello internazionale si interroghino sulla necessità di sperimentare un reddito di base universale come misura all'altezza della rivoluzione del lavoro che stiamo vivendo.
La tutela del lavoro autonomo e indipendente, infatti, non richiama solo problemi di equità e giustizia sociale, ma anche di libertà individuale e collettiva. Si tratta di definire una certa idea di società e di mettere le persone in condizione di poter dire “no” ai ricatti occupazionali e di scegliere, il più possibile, tempi, contenuti e modalità, del “proprio” contributo alla giornata lavorativa sociale. Questo è il punto sviluppato nel presente volume, riprendendo un vivace dibattito italiano, europeo ed anche mondiale sul tema del “destino del diritto del lavoro” e dei sistemi di Welfare.
In questo libro si prova a raccontare la società che viene, partendo dall'urgenza condivisa di garantire l'autonomia delle persone nelle proprie scelte individuali e relazioni collettive.
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mercoledì 15 aprile 2015
ECONOMIA DELLA PROMESSA: UN LIBRO CONTRO IL LAVORO GRATIS
Economia politica della promessa. Un libro contro il lavoro gratis. Sarà distribuito in edicola con il Manifesto il 30 aprile e in libreria.
Raccoglie le inchieste sul lavoro gratuito. A cominciare dallincredibile storia sull'accordo sul lavoro gratuito all'expo di Milano che inizia il primo maggio. Ecco la premessa
***
La maggior parte dei testi raccolti in questo piccolo volume sono stati pubblicati in sei puntate, e in forma molto più succinta sulle pagine culturali del Manifesto il manifesto nello scorso autunno e sono stati ampiamente ripresi nel corso della discussione sempre più approfondita e vivace sul dilagare delle forme gratuite di lavoro. Il fatto che queste ultime fossero ormai diventate un elemento indispensabile per il funzionamento di interi comparti produttivi e incombessero sempre più da vicino su molti altri, come strumento di ricatto, come passaggio obbligato nei percorsi del lavoro precario, come schema disciplinare e come manipolazione ideologica della soggettività, ci avevano convinto ad affrontare il tema con una maggiore ampiezza. Ovviamente, né la serie di articoli usciti sul giornale, né il piccolo volume che avete tra le mani esauriscono in alcun modo la complessità di una condizione, molteplice nelle sue sfaccettature e mobile nei suoi confini come quella del lavoro gratuito e ancor meno possono dare risposta soddisfacente alla domanda su come questo possa organizzarsi per imporre l’abolizione di questa forma di sfruttamento. Abbiamo preso in esame solo alcuni comparti e un evento assolutamente esemplare per quanto riguarda la torsione commerciale del “volontariato” e l’economia politica della promessa quale è l’Esposizione universale che sta aprendo i battenti a Milano. Laddove il lavoro a salario zero ha ricevuto l’incredibile benedizione dei sindacati.
Raccoglie le inchieste sul lavoro gratuito. A cominciare dallincredibile storia sull'accordo sul lavoro gratuito all'expo di Milano che inizia il primo maggio. Ecco la premessa
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La maggior parte dei testi raccolti in questo piccolo volume sono stati pubblicati in sei puntate, e in forma molto più succinta sulle pagine culturali del Manifesto il manifesto nello scorso autunno e sono stati ampiamente ripresi nel corso della discussione sempre più approfondita e vivace sul dilagare delle forme gratuite di lavoro. Il fatto che queste ultime fossero ormai diventate un elemento indispensabile per il funzionamento di interi comparti produttivi e incombessero sempre più da vicino su molti altri, come strumento di ricatto, come passaggio obbligato nei percorsi del lavoro precario, come schema disciplinare e come manipolazione ideologica della soggettività, ci avevano convinto ad affrontare il tema con una maggiore ampiezza. Ovviamente, né la serie di articoli usciti sul giornale, né il piccolo volume che avete tra le mani esauriscono in alcun modo la complessità di una condizione, molteplice nelle sue sfaccettature e mobile nei suoi confini come quella del lavoro gratuito e ancor meno possono dare risposta soddisfacente alla domanda su come questo possa organizzarsi per imporre l’abolizione di questa forma di sfruttamento. Abbiamo preso in esame solo alcuni comparti e un evento assolutamente esemplare per quanto riguarda la torsione commerciale del “volontariato” e l’economia politica della promessa quale è l’Esposizione universale che sta aprendo i battenti a Milano. Laddove il lavoro a salario zero ha ricevuto l’incredibile benedizione dei sindacati.
giovedì 22 maggio 2014
UN'ALTRA DEMOCRAZIA, MA PER QUALE EUROPA?
Marco Bascetta
Quando nel 2009 entrò in vigore il trattato di Lisbona, che rendeva operativa anche la Carta di Nizza messa a punto quasi dieci anni prima, il ciclo che aveva condotto all’approvazione dell’uno e dell’altra era giunto al suo esaurimento. Il processo che tra azzardi e prudenze, resistenze e concessioni, comprendeva comunque nel suo orizzonte (e in diversi risultati conseguiti) la costruzione di un’Europa sociale e di un diritto comunitario che garantisse nel loro insieme i cittadini del vecchio continente volgeva al termine. Se era riuscito, sia pur malconcio, a sopravvivere alla bocciatura della Costituzione europea, affondata dall’esito dei referendum in Francia e Olanda nel 2005, non sarebbe sopravvissuto ai quattro fattori che negli ultimi anni hanno in larga misura ridisegnato il campo europeo.
In primo luogo, ovviamente, la catastrofica crisi economica globale che in Europa si è manifestata come crisi dei debiti sovrani. In secondo luogo, il definitivo superamento tedesco dei costi e dei problemi connessi alla riunificazione, accompagnato da un incremento di competitività ottenuto a spese dei diritti e dei salari. In terzo luogo, l’inasprirsi di quel sovranismo conservatore britannico che ha sempre messo un freno all’integrazione europea e che ora aspirerebbe perfino a ridurre ulteriormente le prerogative comunitarie. Infine la sconfitta, più o meno completa, delle resistenze antiliberiste in gran parte dei paesi dell’Unione. Per vittoria politica della destra o per assimilazione dei suoi principi fondamentali da parte delle sinistre governative o aspiranti tali.
Quando nel 2009 entrò in vigore il trattato di Lisbona, che rendeva operativa anche la Carta di Nizza messa a punto quasi dieci anni prima, il ciclo che aveva condotto all’approvazione dell’uno e dell’altra era giunto al suo esaurimento. Il processo che tra azzardi e prudenze, resistenze e concessioni, comprendeva comunque nel suo orizzonte (e in diversi risultati conseguiti) la costruzione di un’Europa sociale e di un diritto comunitario che garantisse nel loro insieme i cittadini del vecchio continente volgeva al termine. Se era riuscito, sia pur malconcio, a sopravvivere alla bocciatura della Costituzione europea, affondata dall’esito dei referendum in Francia e Olanda nel 2005, non sarebbe sopravvissuto ai quattro fattori che negli ultimi anni hanno in larga misura ridisegnato il campo europeo.
In primo luogo, ovviamente, la catastrofica crisi economica globale che in Europa si è manifestata come crisi dei debiti sovrani. In secondo luogo, il definitivo superamento tedesco dei costi e dei problemi connessi alla riunificazione, accompagnato da un incremento di competitività ottenuto a spese dei diritti e dei salari. In terzo luogo, l’inasprirsi di quel sovranismo conservatore britannico che ha sempre messo un freno all’integrazione europea e che ora aspirerebbe perfino a ridurre ulteriormente le prerogative comunitarie. Infine la sconfitta, più o meno completa, delle resistenze antiliberiste in gran parte dei paesi dell’Unione. Per vittoria politica della destra o per assimilazione dei suoi principi fondamentali da parte delle sinistre governative o aspiranti tali.
mercoledì 7 maggio 2014
SOGNO EUROPEO O INCUBO?
Giuseppe Allegri e Giuseppe Bronzini
hanno pubblicato un nuovo libro: Sogno europeo o incubo?(Fazi editore, pp. 175, 10 €) e si chiedono come l'Europa potrà tornare a essere democratica, solidale e capace di difendersi dai mercati finanziari . Qui anche un'anticipazione "cartacea"
***
We believe in Europe because we are all Europeans
Moritz Hartmann, Floris de Witte
Dieci anni fa l’Europa appariva già profondamente divisa. In un celebre intervento pubblicato contemporaneamente su alcuni grandi quotidiani europei, a partire da «Libération» e «Frankfurter Allgemeine Zeitung» (quindi «La Repubblica» del 4 giugno 2003), Jürgen Habermas e Jacques Derrida ricordavano i due momenti cruciali della frattura di allora. L’adesione di tanti governi europei alla “coalizione dei volonterosi” a sostegno dell’aggressione USA all’Iraq, ma anche le oceaniche manifestazioni di protesta contro la guerra, tenutesi il 15 Febbraio 2003 in tutte le capitali del vecchio continente, segnale della nascita di “un’opinione pubblica europea” e – per il «New York Times» – di una seconda superpotenza planetaria.
giovedì 12 gennaio 2012
REDDITO DI BASE: L'ANTIDOTO CONTRO IL GENOCIDIO ITALIANO
Il governo Monti proporrà nuovi ammortizzatori sociali e la ministra
Fornero è una fan del reddito minimo (ma condizionato). I sindacati, un tempo fieramente contrari, oggi ne parlano, ma anche loro mettono condizioni. Tutti parlano di un reddito condizionato dall’obbligo di accettare qualunque attività lavorativa. Confindustria nega che ci siano "troppi precari" e "non è vero che ci sono troppi contratti atipici". Proponiamo la recensione all'ultimo libro di Giuseppe Bronzini, l'unico a prospettare soluzioni chiare, realistiche e giuste contro il genocidio di un terzo della forza-lavoro attiva in Italia.
***
È
da segnalare con estrema attenzione e interesse il volume di Giuseppe
Bronzini, Il reddito di cittadinanza. Una proposta per l’Italia e per l’Europa, perché non avrebbe
potuto esserci momento più adatto per la sua pubblicazione,
nel pieno di una crisi che diffonde povertà e insicurezza, con
le timide proposte di un Governo, come quello Monti-Napolitano, che
vorrebbe tenere insieme equità e rigore di bilancio, evocando
sacrifici e «riforma del ciclo di vita», ma anche
l’introduzione di «un reddito minimo garantito per chi è
senza lavoro» (in tutti e due i casi è il Ministro del
Lavoro Elsa Fornero a parlare).
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