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mercoledì 13 dicembre 2017

IT'S STILL DAY ONE/ E' ANCORA IL PRIMO GIORNO (DI UNA VITA)


IT'S STILL DAY ONE/ E' ANCORA IL PRIMO GIORNO (DI UNA VITA). "E ci ritroviamo oggi esausti, ma non disperati né impotenti, a pensare che per trasformare la nostra condizione di forzati del lavoro su di sé sia necessario ascoltare le voci di quei lavoratori indipendenti francesi italiani inglesi tedeschi americani che già nel XIX secolo si sono organizzati in cooperative e società di mutuo soccorso per sottrarre la loro vita alla presa del lavoro come vocazione, prestazione, morale. Sono loro, insieme ai tanti altri che hanno spezzato la continuità della storia del lavoro nel XX secolo - e non Jeff Bezos di Amazon - che sembrano sussurrarci in un orecchio: EHI, SI', IT'S STILL DAY ONE"

(It's still day one. Dall'imprenditore di sé alla start up esistenziale. Massimiliano Nicoli e Luca Paltrinieri su Aut Aut, 376/2017: Fantasmi Neoliberali)

martedì 26 maggio 2015

AAA CERCASI INTELLETTUALI SELF-BRAND PER IO S.P.A. DI SUCCESSO

ERWIN WURM, 1954
Roberto Ciccarelli

Ti senti in carriera? Misuri il tuo tempo di vita sulla lunghezza del Curriculum? Compulsi annunci su LinkedIn come un disperato. E sei stanco di lavorare gratis? O di fare l'imprenditore di te stesso? Per tutti gli altri dubbi, esistenziali o professionali, c'è il numero di Aut Aut 365/2015:  Intellettuali di se stessi. Lavori intellettuale in epoca neo liberale.   
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Pubblicato su Doppio Zero: L'emergenza delle nostre vite minuscole.

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1. Ancor prima di essere una figura sociale, ispirata a una declinazione specifica del soggetto neo-liberale (“imprenditore di se stesso, l’Io S.P.A.) l’intellettuale di se stesso è una forma di intuizione. È un atto rivolto verso il conoscente e non è orientato verso l’altro, un oggetto, il mondo. Nel suo caso il conoscere si incarna in una forma di intuizione spirituale il cui obiettivo è l’auto-riconoscimento in quanto soggetto agente dell’intuizione. Intuendo se stesso, il soggetto di colloca presso di sé. In una società popolata da Sé atomizzati, questo è il primo atto di cittadinanza. Nel suo piccolo, l’intellettuale di se stesso compie un atto comune a chiunque voglia partecipare al gioco della cittadinanza neo-liberale: per dimostrare di esistere deve affermare che il proprio Sé esiste ed è produttivo. L’auspicio di una prossimità assoluta all’origine della percezione più intima di un essere umano fonda un’ontologia dell’essere presso di sé. Tale ontologia si forma nei dintorni di quel luogo oscuro, ma cogente e pienamente operante, del Soggetto. Un Soggetto che continua ad essere il mistero del discorso pubblico e culturale, pur essendo stato pienamente decostruito dalla filosofia critica o dalla genealogia di Michel Foucault, dalla differenza di Jacques Derrida, dall’immanenza nel pensiero di Gilles Deleuze.

Questo Soggetto è oggi l’argomento preferito della filosofia della mente, così come delle declinazioni locali e postume del pensiero debole, analitico, giuridico o variamente ontologico, psicoanalitico e antropologico, infine di quello antagonista o della filosofia radicale, a tal punto da dominare in maniera inesausta l’orizzonte delle scienze umane, sociali, giuridiche – quelle che un tempo si chiamavano “scienze dello spirito” – e ancor più di quelle epistemologiche, scientifiche o applicative – le “scienze della natura”. Questa rinnovata centralità è stata travolta da un’impetuosa corrente neo-scientista ispirata a paradigmi deterministi e imprenditoriali, indirizzati dal mercato accademico e implementati dal sistema della valutazione delle pubblicazioni scientifiche. Il dispositivo ha rafforzato il mistero del Soggetto attribuendogli una trasparente familiarità domestica. Il Soggetto – e il suo risvolto più immediato: l’Io – rappresentano oggi il sostrato allusivo, ma non per questo meno falsamente “oggettivo”, di questo orientamento.

Si è così sviluppata una nuova attitudine nel lavoro intellettuale che ha creato – o rafforzato – un’attitudine iper-individualista e fondamentalmente corporativa nell’esercizio della professione della ricerca, come nelle attività classificabili come “letterarie”. Al di là del banale, intramontabile e auto-evidente imperativo capitalista applicato in questi campi – “si scrive per vendere e vende solo chi possiede lo status di scrittore di successo o di opinionista leader” – al centro di questa generale trasformazione c’è l’intellettuale di se stesso. Il protagonista indiscusso, la stella polare della cultura neo-imprenditoriale applicata alla valutazione della ricerca, il cosiddetto sistema-Anvur, come quello della scuola incarnato dall’auto-valutazione degli istituti o delle prove Invalsi. Il capitale (di pubblicazioni, di status, di relazioni) accumulato nel “portafoglio” dei titoli e dei meriti costituisce la ricchezza dell’impresa personale. La forma è il contenuto del Soggetto poiché tale accumulazione consiste nel percepirsi come imprenditori delle proprie capacità, buone pratiche o intuizioni.

domenica 19 aprile 2015

INTELLETTUALE SELF-BRAND: QUANDO IL LAVORO E' MARKETING DI SE STESSI

Dario Gentili, Massimiliano Nicoli

Intellettuali di se stessi. Lavoro intellettuale in epoca neoliberale, il nuovo numero di Aut Aut, 365/2015, edito da Il Saggiatore

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Dopo un fascicolo monografico dedicato alla problematizzazione dell’insegnamento scolastico (La scuola impossibile, 358, 2013) e un altro dedicato alla critica dei dispositivi di valutazione della ricerca (All’indice. Critica della cultura della valutazione, 360, 2013), “aut aut” mette ora a tema la condizione del lavoro intellettuale in epoca neoliberale.

In questo campo, le categorie socio-politiche che organizzano gli spazi e i tempi delle professioni saltano, rendendo estremamente complessa l’impresa di mettere ordine tra figure del lavoro che proliferano, si ibridano, e molto spesso si incorporano in una o più persone contemporaneamente. La condizione del lavoro intellettuale emerge come stretta fra il desiderio di indipendenza e di cooperazione, di un buon lavoro e di una buona vita, da una parte, e il ricatto esistenziale, la sussunzione reale della vita imposti dall’appartenenza a un eterno esercito industriale di riserva, dall’altra.

domenica 22 dicembre 2013

LA (S)VALUTAZIONE DELLA RICERCA


Alessandro Dal Lago

Nel XIX secolo, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Germania la ricerca e l’educazione tecnico-scientifica hanno iniziato lentamente a prevalere su quella umanistica. E tuttavia il modello humboldtiano sarebbe rimasto per molto tempo l’ideale globale di università. Ancora negli anni sessanta del Novecento, un rapporto indipendente avrebbe stabilito come obiettivo del sistema universitario inglese “la promozione delle funzioni generali della mente, per produrre non solo specialisti, ma anche donne e uomini colti”. Questa idea di università  è stata ampiamente criticata, nel corso dell’ultimo secolo, per la sua impostazione umanistica, rivolta soprattutto alla tradizione e agli studi classici. 

LA TIRANNIA DELLA VALUTAZIONE


Si vuole essere valutati per strappare un’oppurtunità di lavoro o la speranza di essere riconosciuti come cittadini. Ma valutare è anche un esercizio di potere. La coincidenza tra questi desideri, quello di chi sceglie volontariamente la servitù e di chi gode nel riconoscerla negli altri, spiega l’irresistibile crescita della valutazione nel mondo neoliberale e la sua inesausta richiesta man mano che la crisi abbatte gli ultimi totem della democrazia.